A volte credo di avere un sesto senso sulle persone: ad occhio riesco a capire se mi stanno simpatiche o no.
Una sorta di colpo di fulmine istantaneo, platonico ed emotivo, ma che 9 su 10 funziona.
E di solito le persone simpatiche mi aiutano a passare le giornate meglio, sia che abbia con loro un contatto fisico sia che possa solo sentire la loro voce e i loro strumenti suonare.
Ora: testimoni le persone che mi conoscono il mio inizio 2018 è stato davvero devastante, non scendo nei particolari ma tra officine e ospedale ho perso un bel po’ di tempo.
Di solito le cose materiali che mi fanno riprendere e tirar su di animo sono: la Roma che vince, mettere i dischi in ordine alfabetico (giuro) e ascoltare, chiaro, musica. Tra i tanti ascolti di questi giorni scellerati ci sono i Crater con il loro secondo disco Unearth, dalla copertina (e non solo) molto “Violator dei Depeche Mode” e la loro simpatia.
Sì, perché leggendo le info su fb della band quando ho letto “interests: telephone” ho riso.
Sciocchezze a parte, passiamo alla musica. Dicevamo Depeche Mode: sì, ma riattualizzati in una visione moderna che, a partire dalla voce della brava e accattivante Ceci riporta alla mente i migliori intrecci di Bat For Lashes (quando non è troppo smielata), l’aggressività post 80’s dei Ladytron e un sentire Cocteau Twins darkeggiante a fare da sottofondo.
Ma a differenza dei Cocteau Twins i Crater sono molto diretti e arrivano al punto in modo meno complesso: anche grazie ad un arrangiamento in fondo da “piccolo studio di registrazione” (non da cameretta), visto che il disco se lo sono prodotto anche loro e agli intrecci tra l’elettronica di base e la chitarra di Kessiah Gordon.
Highlight del disco: il crescendo iniziale della title track Unearth e Void Part I & II.
Bravi e simpatici.