Vieri Giuliano Santucci per TRISTE©
La foschia (come la nebbia) nasconde le cose. Soprattutto quelle distanti.
Sia quelle reali e presenti che, metaforicamente, quelle lontane nella memoria. A volte le immagini del passato diventano offuscate e difficili da ricordare.
Ma questo, a volte, le rende anche migliori.
Haze, foschia appunto, oltre ad essere anche il nome di un tipo di cannabis proveniente dalla california degli anni ’70, è anche il debut album dei The Shacks, terzetto newyorkese composto da Shannon Wise, Max Shrager e Ben Borchers.
E come uscito dalla foschia del passato, questo disco richiama proprio atmosfere ’60 e ’70, che bene potrebbero associarsi proprio alle atmosfere della Summer of Love californiana.
Certo l’impatto “vintage” è davvero forte sin dal primo brano, la title track, che ci introduce sia alle sonorità retrò e dreamy della band, che ad uno dei punti di forza degli Shacks: la voce di Shannon Wise, sensuale e riconoscibile marchio di fabbrica della band.
I 13 brani che compongono Haze sono tutti di breve durata ed estremamente godibili. A dire il vero quasi troppo godibili. Nel senso che la “piacevole foschia” che pervade tutto l’album (che si dissipa in qualche brano più cupo come Texas o più pop come la bella My Name Is) rischia a volte di rendere un po’ troppo omogeneo l’ascolto.
Al netto di questo, Haze rimane un debut davvero ben costruito. La sua forza, inoltre, è quella di risultare molto fresco pur ispirandosi apertamente al passato. E la voce di Shannon non può che rimanere ben impressa già dal primo ascolto.
Cercate di guardare attraverso la foschia. Oppure lasciatevi avvolgere da essa per provare una strana sensazione di conforto.