Il caso vuole che mi ritrovi a scrivere queste righe due giorni dopo la scomparsa di Mark Hollis, voce e leader dei Talk Talk, una mente luminosa che grazie al lavoro con la band londinese aprì tutto un nuovo capitolo nel campo delle sonorità “post” e la decostruzione dei canoni rock.
E proprio in questi giorni è uscito il secondo disco solista del bassista di quello splendido gruppo, Paul Webb. Non troverete questo nome sulla copertina del disco ma Rustin Man, cioè il moniker che scelse tempo addietro quando diede alle stampe il primo disco co-intestato con Beth Gibbons, Out Of Season. Ben diciassette anni fa.
Ma il tempo sembra essersi fermato per Paul, anzi qui non sembra neanche di essere nel 2019 e nemmeno in una determinata era musicale contemporanea: queste nove canzoni sembrano essere senza tempo.
Come sonorità ci ritroviamo sempre nelle coordinate folk e intense del disco con la Gibbons del 2002, ma il clima qui è decisamente più plumbeo, vuoi per la voce profonda di Webb, vuoi per i suoni che si sono più incupiti. La voce è assolutamente una delle prime cose che spicca: Webb sembra un incrocio tra l’ultimo Bowie e Scott Walker, sorprendente e trascinante a modo suo.
A fare da cornice al cantato c’è un folk psichedelico e straniante (alla batteria Lee Harris, anche lui reduce dei Talk Talk), sprazzi di Broadcast e Robert Wyatt, aria di Inghilterra vittoriana, un dolore dignitoso ed elegante che ritrova vitalità facendo entrare pop pastorale e venature jazz nello scenario.
È complicato descrivere un disco così poco calato nel presente, ma che non risulta passatista o di maniera: l’opera è sincera è vera, e forse la discografia scarna di Paul Webb (tratto comune con Mark Hollis) è proprio sintomatica di questo. Parlare, suonare, cantare solo quando c’è urgenza e bisogno.