Francesco Amoroso per TRISTE©
Speravamo almeno di riappropriarci del nostro tempo e, invece, abbiamo scoperto che questo tempo non ci appartiene veramente.
Proprio nel momento in cui saremmo autorizzati a dedicarci alle nostre occupazioni preferite, senza sensi di colpa, senza scadenze a pesare sulle nostre spalle, ci rendiamo conto che quello che ci è stato concesso, non è tempo guadagnato, ma tempo sospeso.
Come se, schiacciando un pulsante del telecomando, le nostre vite fossero state messe in pausa, come se il nostro allenatore avesse chiamato un time-out e in questi giorni non ci fosse permesso di occuparci di nulla: non solo non possiamo allontanarci da casa, ma sembra proibito allontanare la nostra mente dalla assurda situazione contingente che stiamo vivendo.
E allora, invece di riscoprire il piacere della lettura, dell’ascolto della musica (finalmente attento e senza distrazioni), l’unica cosa che riusciamo a (ri)scoprire è la nostra casa, piccola o grande che sia, confortevole o decisamente spartana. Finiremo per conoscerne ogni angolo, ogni sottile crepa dell’intonaco, ogni graffio sul pavimento, ogni spiffero delle finestre, fino ad arrivare a odiarla. O a sentirla come una parte di noi stessi.
E, alla fine di tutto questo, non vedremo l’ora di allontanarcene, per poi sentirne una lancinante mancanza o riempirla di persone, tanto quasi da non riconoscerla.
Sostiene il compositore e musicista belga Thomas Jean Henri, che tutti abbiamo bisogno di una capanna, un posto per noi stessi, ma non possiamo sentirci davvero a casa se non la apriamo agli altri, se non la condividiamo.
Per quanto piccolo possa essere il mio rifugio – dice – la mia casa dovrà sempre essere grande (e aperta). (“As small as my cabin can be/ may my home remain as grand” sono le parole con cui si apre il magnifico documentario che accompagna il suo progetto).
“Grande Est La Maison” è il titolo dell’opera d’esordio del suo progetto Cabane, un dream team che comprende le voci di Will Oldham e Kate Stables (This Is The Kit), gli arrangiamenti di Sean O ‘Hagan (The High Llamas) e Sam Genders (Tunng) e Caroline Gabard che hanno collaborato ai testi.
Thomas, già autore di un bellissimo album a nome Soy Un Caballo nel 2008, e batterista dei belgi Venus, ha messo insieme, con un lavoro certosino durato oltre cinque anni, una raccolta di dieci brani che parlano di mare, di fiumi e d’amore, ma soprattutto di casa. Canzoni calde, cullanti e morbide che, con estrema eleganza, coniugano il chamber folk con il pop sofisticato.
Un album di sublime artigianato che riconcilia con la musica e con la vita.
Come un novello Burt Bacharach, ma ben più minimalista, schivo e crepuscolare, lontano dai rumori e dalla fretta della vita moderna, Thomas, con un pugno di strumenti acustici (chitarra, violino, vibrafono e cori) e le incantevoli voci di Will e Kate (non la copia reale inglese…), ha cesellato un lavoro superbo che avvince lentamente e che, passo dopo passo, nota dopo nota, si schiude, accogliendoci nelle sue “stanze” confortevoli, piene di luce e calore.
Gli arrangiamenti del mago Sean O’Hagan sono raffinati e toccanti, sobri eppure lussureggianti, come nella magnifica e contemplativa “Take Me Home (Part 2)” o in “Sagonaku”, consolante e straziante.
Le melodie timide conquistano con la loro disarmante semplicità (provate a non commuovervi, almeno un po’ ascoltando “Now Winter Comes”) e le sonorità di Cabane risultano come un balsamo per le nostre anime scosse e confuse.
In un momento in cui la nostra casa è tutto ciò che abbiamo, l’ultimo baluardo a difenderci dal caos e dall’ignoto, “Grande Est La Maison” è un ricovero sicuro, confortevole e accogliente, un luogo dell’anima, una capanna (parva sed apta mihi, diceva Ariosto) da abitare con chi si ama, e un focolare da condividere (al più presto) con il prossimo.
Quando usciremo di casa, magari, saremo finalmente pronti ad aprire agli altri il nostro rifugio, il nostro paese, il nostro mondo e anche il nostro cuore.
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