Francesco Giordani per TRISTE©
Guardo distrattamente su YouTube una scialba ma volenterosa Lazio battere il Torino in rimonta e mi ritrovo a pensare per l’ennesima volta che il calcio “non è più quello di una volta”.
Ma attenzione: già da prima del Covid.
Molto prima in realtà.
Mi vergogno di formulare un pensiero così scopertamente reazionario eppure il vuoto che oggi appare di colpo così eclatante sugli spalti degli stadi di mezza Europa in qualche modo “c’era già” da anni, solo che non si vedeva, per quanto mi riguarda.
Me lo conferma la lettura di una raccolta postuma di scritti del grande Gianni Mura (che sentitamente raccomando) apparsi su Repubblica negli ultimi quarant’anni.
Interviste, reportage, corrispondenze, editoriali, tutti attraversati da un’elettricità, una gioia, un senso profondo di scoperta e rivelazione che vibra a fil di pagina, accende ogni singolo rigo, trasmettendo l’emozione istantanea di qualcosa “che accade”.
Ecco, dovessi sintetizzare i miei patemi in una maldestra sentenza direi che il Calcio contemporaneo – e con esso tante altre cose – semplicemente non accade più.
La Pandemia – che pure è stata indubitabilmente un evento, anzi: l’Evento, del nostro presente – ha reso evidente qualcosa che già ci riguardava tutti, in misure variabili, ovvero: la sostanziale assenza di “veri” eventi nella nostra vita.
Ma smetto subito di scomodare confuse filosofie e torno volentieri al disco che più ho ascoltato mentre consultavo gli scritti sportivi di Gianni Mura manco fosse Nietzsche e che, non per niente, è firmato da una band di nome Sports Team.
Il quintetto di Cambridge ma trapianto a Londra viene alla ribalta con un esordio arruffato, linguacciuto, sbruffone, felicemente incasinato e casinista, quasi sempre a cento all’ora, che vorrebbe parlare tanto di tutto ma che per lo più dice sempre la stessa cosa a proposito di niente, con foga, nevrotica compulsione e un po’ di studiata commedia rock, come è giusto che sia a vent’anni.
Partendo dal noto presupposto che anche il cosiddetto “indie-rock” ha ormai da anni portato a compimento la sua parabola di “jazzificazione” (ovvero, nell’ordine: linguaggio di nicchia, per un numero ristretto di iniziati, per lo più non adolescenti), questi cinque Inglesi, sotto la guida del biondo mattatore Alex Rice, provano se non altro a riaccendere la miccia di un entusiasmo poco accademico, restituendo ai giovini occidentali un lampo di autentico punk che non si scarichi nella solita (e spesso insipida, a parer mio) minestraccia accelerazionista trap compra consuma crepa.
Se non proprio un evento, qualcosa che perlomeno cerca di somigliargli.
Con un orecchio ai turbamenti twee-noise dei migliori Wedding Present più che agli IDLES, attualizzati con quel tanto di Parquet Courts che non guasta mai, gli Sports Team infilano una cartucciera di dodici potenziali hit art-punk da godere più nel fango di una radura adibita a festival che sul polveroso tappeto del nostro salotto, palleggiando riff appuntiti e umorismo non meno tagliente in 36 minuti di piacevole e brioso rock “champagne” (in senso rigorosamente calcistico).
Tra le vette, segnaliamo: Here’s The Thing, Here It Comes Again, Fishing, la splendida Going Soft.
In conclusione, che altro aggiungere? Anche quest’anno la Juventus vincerà lo scudetto -il che conferma la fine degli Eventi da cui eravamo partiti – ma gli Sports Team, con un pizzico di fortuna, potrebbero conquistare l’Europa.
E, diciamocelo, non sarebbe poi così male come prospettiva.
Pingback: L’Objectif – We Aren’t Getting Out But Tonight We Might | Indie Sunset in Rome
Pingback: High Vis – Blending ** Thus Love – Memorial ** Woru Roze – Soil | Indie Sunset in Rome