Francesco Giordani per TRISTE©
Con i giovanissimi ho un rapporto ambivalente. Un po’ li temo e un po’ li amo. In loro talvolta mi riconosco, non senza un filo d’inconfessabile tenerezza. Talvolta sperimento invece la più agghiacciante (ma anche tragicomica, suvvia…) estraneità rispetto ai loro codici, ai loro linguaggi, al gusto estetico e agli imperativi morali che ne illuminano le scelte.
Credo accada a chiunque provi a interrogare (e ad interrogarsi su) il futuro. Un tempo peculiare, che ci appartiene e che nondimeno ci esclude dal suo possesso, che si lascia intravedere pur restando, nella sostanza, quasi del tutto ineffabile, sempre avvolto nella caligine vischiosa di un incerto albeggiare che ne confonde i contorni. Uno strapiombo su cui ti sporgi e di cui non vedi, non puoi vedere, il limite ultimo. Se provi a chiamarlo, la tua voce si disperde ben presto in un’eco di sé stessa sempre più flebile e lontana. Sino a scomparire, inghiottita nel buio.
Di quell’eco fanno ovviamente parte anche le musiche del futuro, quelle che i succitati giovanissimi ascoltano e suonano. Musiche di cui ben poco so e di cui ancor meno, se porgo l’orecchio, spesso riesco a capire. Data per esaurita la stagione trap -o almeno così ho sentito profetizzare da autorevoli voci…-, se provo a scorrere la classifica italiana di Spotify (altri strumenti di ricognizione al momento in mente non mi vengono e poi sono troppo timido per i sondaggi diretti), alla ricerca della musica che fa battere il cuore dei giovanissimi “nativi digitali” oggi, mi ritrovo a districarmi con immane fatica in una giungla di nomi con molte consonanti che, a parte Kate Bush (!!!), Jovanotti, Blanco, Elodie e Fedez (del quale candidamente confesso di non aver mai sentito una canzone intera), nulla mi dice. Non va meglio nella classica “globale”, tolti Elton John e Harry Styles (ma chi diavolo è Bad Bunny?).
In queste classifiche non trovo ovviamente L’Objectif, che pure è un gruppo di giovanissimi. Leggo infatti sul Guardian che la band è stata creata a Leeds nel 2017, quando i due membri fondatori avevano dodici anni. Il che significa, se la matematica non è un’opinione, che adesso ne hanno al massimo diciassette. Una circostanza abbastanza singolare, che riporta l’eccitata fantasia di noi analogici vegliardi sino ai giorni rocamboleschi degli Swell Maps che i fratelli Godfrey, aka Epic Soundtracks e Nikki Sudden, fondarono a Birmingham più o meno alla stessa età. E in fondo, tirando in ballo gli Swell Maps, non saremmo neppure troppo lontani dall’arte grezza e onnivora de L’Objectif, visto che, come il loro secondo freschissimo ep We Aren’t Getting Out But Tonight We Might testimonia, sempre di un (post)punk vibrante, naif e piacevolmente ingarbugliato alla fin fine si sta parlando.
La band, come detto, viene da Leeds, città che, lo ricorderete, quest’anno ci ha già portato in dote gli Yard Act. La stampa di settore, da subito ben disposta, ha del resto prontamente collocato i quattro giovani Inglesi in coda a Shame, Squid, Dry Cleaning, Black Country, New Road ecc… Gli interessati, interpellati dal brand assai laddish Fred Perry, citano piuttosto fra i numi tutelari gli Arctic Monkeys, David Bowie, Velvet Underground, Captain Beefheart, Morrissey, Stone Roses, LCD Soundsystem, Television, il grunge, Kanye West più altri oscuri nomi, presumo di area hip-hop, che si riallacciano alle classifiche di cui sopra.
Ascoltando Get Close balenano melodismi indie-pop che dai Wake ondeggiano verso i New Order per tornare poi su accordi Creation/Sarah, smentiti però dallo shoegaze/madchester in botta d’acido della notevolissima Feeling Down e dalle cadenze più aguzze e rock-rappeggianti di To Be Honest, che fanno il paio con il punk-funk in scioltezza di Same Thing, prima di confluire nel sophisti-soul urbano della conclusiva (e splendida) Thought It Was Real.
Tante brulicanti anime sonore, insomma, per un’identità ancora in fase di costruzione che tuttavia, se pensiamo a quanto già proposto lo scorso anno da Lathums e Easy Life (ma occhio anche agli imminenti ritorni di Sports Team e Working Men’s Club), ci fanno tornare la seppur vaga speranza che in quel futuro prima invocato un posto per la nostra “musica del cuore”, magari piccolo, ancora rimane.
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