“I could have done
Nicholas Faraone – “Clean Evil”
something great for mankind but I had too much to prove
to anyone who ever looked at me sideways”
Vieri Giuliano Santucci per TRISTE©
La sensazione di aver sprecato tempo o qualità è cosa comune: la paura di stare sbagliando tutto – proprio in questo istante – può assalire nei momenti più impensati.
Se a volte non è che l’apice di un periodo di difficoltà, il culmine dello sconforto, in altri momenti questa sensazione può essere la molla per ripartire: abbandonare il passato, affrontare il presente e confidare nel futuro (semicit. da Guido Morselli).
Oppure la constatazione, più terra terra, che semplicemente “Somethings do trouble a man’s mind // other things turn out fine”.
A tre anni dal precedente “West In The Head”, Nicholas Faraone, Tom Skantze e Robin Af Ekenstam tornano con un nuovo album per A Modest Proposal Records. Era il 2014 quando scoprimmo la band di base a Stoccolma: fu amore a primo ascolto, così come per tante persone in giro per il mondo ed in Italia in particolare.
E dopo 7 anni e 4 album, siamo ancora qui a raccontarvi di uno dei più dotati e toccanti songwriter in circolazione e delle melodie agrodolci dei Barbarisms. Il termine tedesco “Zugzwang” può essere tradotto come “obbligato a muovere”, e negli scacchi indica una situazione in cui il giocatore si trova in difficoltà, dovendo scegliere tra uno scacco matto e il perdere pezzi. Per non perdere la partita, è costretto, appunto, a muovere e rinunciare a qualcosa. O, se preferite, a lasciarsi dietro qualcosa.
Questo muoversi in continuazione, pur nelle difficoltà, per non dover arrendersi al perdere tutto sembra essere lo stato d’animo in cui Nicholas Faraone si è ritrovato quando, proprio alla fine di un tour della band in Italia, ha cominciato a vagare in solitaria (accompagnato solo dall’emicrania) cercando di lasciarsi alle spalle tutto quello che era stato finora (“I tried to flee in trains // every book I read exploded my shame // so I studied chess instead”).
Raggiunto il Canada per un tour solista (“But a tour came along // I flew to Montreal and drove to Saskatchewan”) è stato in qualche modo “richiamato a casa” (la Svezia, dove ormai Nicholas vive da 9 anni dopo aver lasciato gli Stati Uniti) dall’artista Jan Håfström (già autore della copertina di “West In The Head” e anche di questo nuovo album) dove il bagaglio di esperienze accumulate e il ricongiungimento con Tom e Robin hanno dato vita al disco che probabilmente è al momento il loro miglior lavoro in studio.
Secondo il pedagogista Paulo Freire “to alienate human beings from their own decision-making is to change them into objects.” L’essere costretti a muoversi verso i confini del mondo lasciandosi trasportare dalla propria malinconia (“Seems at the edge of the earth there’s always a bar // you don’t need a map // you don’t need a car // all you need is a broken heart” come canta Nicholas nell’opening track “I Want To Change My Mind”) può condurre una persona ad alienarsi completamente da quello che di importante potrebbe fare per sè e per gli altri.
Ma proprio nel culmine di questa disperazione, una presa di coscienza (“What the fuck was I doing in Canada?”) può essere quella molla che apre le porte al futuro, che riesce a dare un senso a tutti i momenti difficili e anche a trasformarli in qualcosa di costruttivo. Se sei uno scrittore magari ne fai un libro. Se sei Nicholas Faraone scrivi 9 pezzi che riescono a far attraversare le profondità dell’animo umano con degli affreschi di vita vissuta degni della migliore tradizione del romanzo americano.
“Zugzwang” è un ritorno a casa anche dal punto di vista delle sonorità: un disco di Americana intimo e malinconico, che non dimentica di dispensare calore e una vaga spensieratezza agrodolce. La splendida “Trains and Horses” è forse il miglior biglietto da visita di questo disco, ma ogni canzone è un piccolo pezzo di una storia a suo modo struggente. Se pezzi come “Another Sunday Morning” e “Wooden Nichels” sembrano scavare in profondità nelle ferite del passato, l’iniziale “I Want To Change My Mind”, la già citata “Trains and Horses” o la più “barbarismsiana” (passatemi il termine) di tutte, “Clean Evil”, mostrano l’altra faccia della medaglia: il guardarsi indietro con una prospettiva diversa, consci di aver superato quei momenti.
Grazie anche alle preziose collaborazioni di Alice Boman, Campbell Woods, Ellen Froese e Simon Stalhamre, i Barbarisms sono riusciti a tornare sulla scena con un disco “da leggere” ed ascoltare che pur raccontando di momenti di solitudine, “mosse forzate” e voglia di allontanarsi da tutto e tutti (“I will apply the blindfold // it’s the part of the show where you all disappear // I hope an asteroid comes tearing through the atmosphere”), proprio grazie al suo epilogo (ossia proprio per il fatto stesso di essere stato registrato) quel senso di solitudine, che i tempi più recenti hanno in modi diversi trasmesso un po’ a tutti, riesce a farlo superare.
In “Eternal Recur” (contenuto in “Browser”, 2016), Nicholas Faraone, adattando alcuni versi da “Tintern Abbey” di William Wordsworth, canta “I used to feel more like a man flying from what he dreads // Than one who just went after what he loved”. L’augurio, per Nicholas e per tutti noi, è di poter davvero leggere quei versi usando i verbi al passato.
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