Francesco Amoroso per TRISTE©
Da dove si comincia quando si vuole parlare di un artista che è in giro da 35 anni e che ha all’attivo almeno 35 album? Di uno che, nella sua carriera, ha pubblicato due raccolte dei propri testi, intitolandole rispettivamente Lusts Of A Moron (concupiscenze di un deficiente) e Famous For Fifteen People, che ha pubblicato un libro di memorie dal titolo Niche, a memoir in Pastiche e numerosi altri romanzi e saggi? Di uno che è stato citato in giudizio dalla pioniera dell’elettronica Wendy Carlos e dalla multinazionale Michelin (in entrambi i casi per dei testi ritenuti offensivi)?
Si rischia di scrivere una monografia infinita e, comunque, lacunosa, oppure di parlare con superficialità di un personaggio così sfaccettato e incredibilmente profondo.
Tuttavia, la recentissima uscita di Athenian, l’ennesimo lavoro dell’artista inglese Nick Currie (in arte Momus), è un’occasione troppo ghiotta perché possa lasciarmela sfuggire.
Momus (Momo, dal greco momos, biasimo) è una figura della mitologia greca, figlio della Notte (Nyx) e di Ipno (Hypnos). Era un omino calvo e minuto, senza vestiti e con in mano una maschera ed un bastone. Secondo Esiodo personificava il sarcasmo e la mania di censurare. Secondo una tradizione fu Momo a criticare Zeus quando il padre degli dei voleva distruggere l’umanità con fulmini e inondazioni, convincendolo, invece, a favorire il matrimonio di Teti e Peleo, che avrebbe portato alla fine dell’Età degli eroi, gli dei, alla fine, si stancarono della sua indole troppo burlesca e lo scacciarono dall’Olimpo.
Mai pseudonimo fu più appropriato.
Seguo le gesta dell’artista inglese dai tempi di The Poison Boyfriend e Tender Pervert (i suoi primi due album per la Creation, mentre, all’epoca, avevo completamente mancato l’esordio per la mitica Él), ma, col tempo, la sua decisa virata verso sonorità electro e ritmi ballabili mi aveva un po’ allontanato, anche se lo incontrai (e fu in incontro fulminante) a Londra per una sessione di firmacopie dell’album Voyager (che, naturalmente custodisco gelosamente in vinile).
Da allora il mio interesse è stato altalenante e, nonostante i testi di Momus fossero sempre stimolanti e spesso geniali, mi è stato difficile amare incondizionatamente il suo pastiche di electro, cabaret, disco e folk, un mix che spesso mi è risultato indigesto.
Ho così perso i suoi ultimi lavori e anche l’album del 2020 Vivid, cupo commentario dell’epoca della pandemia, è passato, per me, inosservato.
E’ solo per puro caso, quindi, che mi è capitato di ascoltare alcuni brani del nuovo Athenian, album che segna un ritorno netto alle sonorità che avevano caratterizzato gli inizi di Momus e che, tuttavia, non dimentica gli anni trascorsi, con le loro suggestioni musicali e tematiche.
L’amore è stato intenso e piuttosto immediato e l’uscita di un brano alla settimana, ha creato in me grandi aspettative.
Ora che i sedici brani che compongono la sua ultima fatica sono finalmente tutti disponibili, posso dire che Athenian è un album magnifico, un ascolto emozionante e una colonna sonora perfetta per questi tempi incerti e surreali, un’affermazione di creatività, di genio, di vitalità in un momento in cui sono la depressione e la morte a essere all’ordine del giorno.
Mentre l’album dello scorso anno, Vivid, pare fosse un’esplorazione del lockdown e della pandemia, registrato in isolamento, separato dalla sua amata ragazza, Athenian è stato scritto e concepito ad Atene, in Grecia, dove Nick Currie ha rivisitato i luoghi della propria giovinezza (il giovane Nick aveva trascorso alcuni anni ad Atene da adolescente mentre suo padre lavorava per il British Council).
L’album, così, seppure rimanga, in qualche modo, un commentario dell’attualità, suona più leggero e positivo, anche grazie all’utilizzo di samples di comici inglesi degli anni sessanta e settanta.
Le influenze, come sempre, sono tante e sarebbe quasi impossibile citare (e cogliere) tutti i rimandi musicali e culturali, ma l’utilizzo massiccio della fisarmonica (che pare sia la nuova passione di Momus, che l’ha usata anche nei precedenti lavori) rimanda al folk greco e mitteleuropeo e alla musica da cabaret. Su tutto prevale, però, sempre il cantato morbido e inconfondibile di Nick, tra vaudeville e spoken word.
Sebbene il tono sia più leggero non possono mancare i commenti sarcastici: in Swansong si afferma che “You cannot make a better world until everybody plays along“, e una canzone come Greyland è una perfetta satira della Gran Bretagna della Brexit e della triste visione del mondo dei suoi sostenitori più accaniti: “Don’t call me a racist, I’ll splash your face/
I don’t care if you’re purple or blue/But purple-blue people should go back to their lands/
There’s no place for in Greyland for you/ So go, I don’t care to/ Know exactly where to
There must be some camp far away/ Of concentration, extermination/ Let’s keep Greyland for the grey“. E, ancora, Horrorworld contiene un lungo elenco di incubi personali che, facilmente possono diventare universali (“Once we dreamed a smooth and a simple life/
What turned up? A ripped and a wrinklеd life/ Big dickheads are taking rеvenge on us/
Dickhead dead/ Horrorworld, horrorworld“).
Si parla, con ironia, anche di cancel culture (e non poteva essere altrimenti per un personaggio controverso come Momus) in Chatternooga dove il nostro si azzarda a dire “We’re not going to hold our breath/ Wе’re only equal when wе’re dead/ And more fool you if you don’t use/ The personal pronouns we’ve approved/ We spill red wax upon your dress“.
Ci sono anche passaggi puramente esilaranti, come in Zooming, dove si narra di un uomo che è apparso accidentalmente nudo in una conference call, oppure in Doomscrolling che esplora la tecnologia e il suo impatto pervasivo dal punto di vista dello scrittore satirico austriaco Karl Kraus, “Poor trolls, liveblogging the apocalypse/ As though the world needed us to end/ Last night I imagined I was Karl Kraus/ So bright, writing squibs that bloodied minds/ I woke to find I was just a doomtroll/ Doomscroll through the last days of mankind“.
Coco the Clown, infine, sembra essere uno dei momenti di maggior ottimismo della carriera di Nick: “Coco the clown is sitting me down/ To explain the facts of life/ There is no God, apparently/ But if things are nice, do the things twice/ That’s his advice/ Such good advice“
In un lavoro così complesso e articolato non mancano un commovente ricordo dell’amica Françoise Cactus degli Stereo Total, scomparsa a febbraio a causa di un cancro (“Françoise it was an honour just to know you/ You will be missed by the people who adore you/ Fly now, ladybird, from thе Berlin you improved/ To the Holiday Inn in hеaven/ Where they’ve kept a special room“), una semplice e sentita canzone d’amore dedicata alla sua ragazza, Nono (“Nono, when I only feel so-so/ You can make my love grow grow/ Just by being you/ I know we can get it together/ Being happy and clever/ Wherever we may go“), una strampalata, ma riuscita cover di Águas de Março di Jobim, titolata The Drizzle of March, un tributo al pittore e scrittore britannico Wyndham Lewis The Tyro (probabilmente nella speranza che, come la gioventù di allora era uscita piena di voglia di vivere e creatività dalla prima guerra mondiale, lo stesso possa fare questa generazione uscendo dalla pandemia) e una surreale storia vittoriana di tradimenti e omicidio: Bus Inspector Bill, probabilmente la canzone più riuscita del lotto (“And the day that Charlie passed away Lil was there to hear him say/ “I’ve been unfaithful to you in every known position, Lili dear”/ She said “Charlie darling never mind, I knew it all the time/ T”at’s why I put 9000 miligrams of arsenic trioxide in your beer“). L’album (che prevede un video per ogni brano in esso contenuto) si chiude con la title track, un diario sentimentale che descrive con passione la città greca e il legame indissolubile che la lega a Momus.
Sono certo che in tempi frenetici e superficiali come quelli che stiamo vivendo, anche questo nuovo lavoro di Nick Currie passerà ai più inosservato: troppo denso, troppo fuori moda, troppo profondo e controverso per essere preso in considerazione e perché gli si dia l’attenìzone che merita.
Nel mio piccolo (piccolissimo) ho fatto quel che potevo per strapparlo dall’oscurita e dall’oblio nella convinzione che se la nostra vita fosse popolata da più Momus (e da meno saccenti ciarlatani…) sarebbe molto più degna di essere vissuta, anche in momenti difficili come quello attuale.
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