Francesco Amoroso per TRISTE©
Ho sempre avuto un debole per le voci e, negli ultimi tempi, in particolare per le voci femminili.
Così quando, ormai molti anni orsono, ho scoperto e ascoltato album folk magnifici come Nothing Can Bring Back The Hour, Overnight o Seedlings All ho sempre pensato fossero opera della cantante e songwriter Josienne Clarke e di un talentuoso chitarrista di cui continuavo a dimenticare il nome.
A quanto pare, tuttavia, la vulgata non era esattamente questa e Josienne, nonostante la sua voce straordinaria, così classica eppure così fresca e personale e il suo evidente talento compositivo (evidente soprattutto negli ultimi lavori del duo), ha sempre sentito il suo contributo sottovalutato, non accreditato o addirittura ignorato e si è sentita oscurata dal suo partner musicale, osannato tra i cultori del folk più classico per la sua perizia strumentale e per la sua ortodossia. E per il fatto di essere un uomo, a quanto pare.
Quanto Josienne, nel 2018, è uscita da una sala da concerto in Belgio nell’intervallo di una performance del duo, per non tornare mai più, sono stato colto di sorpresa e rimasto spiazzato e dispiaciuto. Ci ho messo un po’ di tempo a capire cosa fosse accaduto perché, nella mia visione a quanto pare idilliaca (e del tutto falsata) del mondo musicale, un’artista con la spiccata sensibilità e la incredibile voce di Josienne Clarke non avrebbe mai potuto non ottenere il credito e il riconoscimento che le era dovuto.
Ma evidentemente sono un illuso.
Sentirsi una cosa piccola e inconoscibile deve essere una sensazione terribile. Sentire di non essere messa nelle condizioni di esprimere la propria vera essenza è insopportabilmente arduo.
Spesso le cause di tale stato non sono eventi o comportamenti evidenti e macroscopici, ma è più un affastellarsi di piccole cose inconoscibili, di dettagli che ai più possono risultare risibili. Il risultato, in ogni caso, è evidente e debilitante e, per uscire da tale situazione, a volte possono servire solo altre piccole cose inconoscibili.
Alla fine Clarke (grazie al proprio coraggio, per suo merito e nostra fortuna) ha preso coscienza della propria insoddisfazione e frustrazione e si è, pian piano, liberata da ogni giogo.
Se già con il suo primo lavoro solista (In All Weather del 2019) era iniziato il distacco dagli schemi sonori e compositivi del passato e si era avviata la presa di coscienza del proprio talento e della possibilità di esprimere liberamente la propria personalità, in A Small Unknowable Thing, l’artista inglese lascia libero sfogo all’emozione e mette un punto, possibilmente definitivo, sulle traumatiche esperienze del passato.
Il solo fatto che si sia assunta tutte le responsabilità per questo nuovo album è già una chiarissima dichiarazione di intenti: Josienne scrive, compone, arrangia e produce tutto da sola. Canta, suona la chitarra, l’harmonium e il sassofono e, per assicurarsi la più assoluta libertà artistica, fonda anche una sua etichetta, abbandonando definitivamente la Rough Trade (e dubito che una scelta così estrema sia stata fatta a cuor leggero).
A Small Unknowable Thing svela, così, molti degli aspetti della personalità artistica di Clarke che erano rimasti nascosti a causa del suo forzato incasellamento nel folk (classico).
Basta l’iniziale Super Recogniser a dare il tono a tutto il lavoro: la voce di Josienne è sempre unica, cristallina e superbamente melodica mentre canta versi rivelatori come “searching for a tune that I haven’t sung before” e “trying to describe the indescribable”, ma ad accompagnare la chitarra acustica dall’andamento non lineare, c’è un ritmo intricato e sciolto e un arrangiamento sottilmente elettronico.
Il folk classico è già dietro le spalle e canzoni come Like This e Never Lie (“I could never lie/ the truth runs all through my inside”) ribadiscono il concetto, pur senza stravolgere il suo stile sonoro e vocale (e che stile!).
Canzoni brevi e suggestive, ma dense e emozionanti, come Chains, con il suo accompagnamento minimale e la voce in primissimo piano,(“These, these are the chains we forge in life/ And I’ve finally found a promise I can keep/ But is it too late/Is it all laid to waste/ Does it all run too deep ?”) e la successiva If It’s Not dimostrano, poi, come si possa essere brutalmente sinceri e anche arrabbiati senza necessariamente perdere la propria vulnerabilità.
Con Sit Out, arriva il punto esclamativo: un brano secco e diretto, condotto da una chitarra elettrica distorta e carica di feedback e da una batteria netta e marziale (e sempre magnificamente suonata da Dave Hamblett), sporcato di elettronica, eppure capace di far risaltare la voce di Clarke come raramente accadeva prima, tanto che la delicata (ma affatto banale) Sting My Heart, che segue, suona come la quiete dopo la tempesta.
The Collector, uno dei brani più complessi e riusciti del lotto, sposa mirabilmente le atmosfere più cupe ed elettriche con il classicismo della voce di Clarke, mentre Tiny Bit Of Life e A Letter On A Page sono caratterizzate da trame acustiche e cantautorali, ma impreziosite da una produzione accurata e originale.
La brevissima Deep Cut è la più esplicita dichiarazione sulle amarezze passate (“I’m half as bitter as you’d be if you were me”) ma è anche l’introduzione alla sequenza dei tre brani conclusivi che chiariscono come Josienne si senta affrancata da quel passato e finalmente libera di esprimersi: Out Loud è una confessione di fragilità e timidezza a cuore aperto, ma anche una coraggiosa dichiarazione di ritrovata forza e capacità di amare (“I’ve never been one for running my tongue/ For declaring all my love from the rooftops/ I’ve always been shy cos people will pry into your life/ I’ve been inclined to hide/ But if all you ever wanted/ Was someone to love you out loud/ I can do it, I can do it now“), che viene ribadita con impeto in Repaid (“I cannot be confined/ Or contained/ I will not be refined/ Or restrained/ For what I have retained/ I will not give away“) con il suo cadenzato andamento jazz, mentre Unbound, con i suoi sublimi tocchi di chitarra acustica e pianoforte, scrive i titoli di coda (“Time is great healer/ And I’d wager space can do that to/ As I look out at all this water/ I feel damage beginning to undo”) su un periodo della vita di Clark che può dirsi definitivamente concluso e superato.
Josienne Clarke, lo dice lei stessa, non si nasconde più: A Small Unknowable Thing è un album al contempo personale e politico, che parla di amore, ma anche (e soprattutto) di amor proprio.
E’ un lavoro fuori dal tempo e destinato a durare nel tempo perché, pur raccontando situazioni e sensazioni intime, è un racconto universale, scritto con urgenza, assoluta libertà creativa e grande talento.
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