
Francesco Amoroso per TRISTE©
“Nessuno ha ancora inventato una maschera antigas
e un rifugio antiaereo contro il tempo.”
GAUSTÌN, Cronorifugio, 1939
“L’uomo è l’unica macchina del tempo
di cui disponiamo.”
GAUSTÌN, Contro le utopie, 2001
(Georgi Gospodinov)
Interrogarsi sul passato è un esercizio che sta diventando sempre più frequente. Sarà perché, grazie alla tecnologia, abbiamo sempre più testimonianze vivide del passato, sarà perché è un periodo in cui interrogarsi sul futuro è diventato troppo difficile, sta di fatto che la riflessione sulla nostalgia e sulla memoria ha ormai assunto un carattere centrale del nostro “filosofeggiare”.
Quanto il passato informi il presente, quanto sia sano rifugiarvisi e perché il passato rappresenti per noi un tempo (un luogo?) ideale, sono domande che da sempre si pone anche la musica pop, un “genere” relativamente recentissimo (nella forma in cui lo conosciamo ha poco più di settant’anni) eppure così immerso nella nostalgia del passato, nel ricordo di un’epoca d’oro che, in realtà (come accade sempre anche all’uomo), era solo la sua infanzia e la sua pubertà, da rischiare di sembrare sempre e solo un vecchio che ha bruciato troppi neuroni e che non può che riciclare i ricordi, non avendo più le capacità per evolversi.
Eppure le cose stanno in maniera molto diversa. Per la musica “leggera”, contrariamente a quanto accade a noi quando arriviamo al punto di ripetere all’infinito le stesse cose, a raccontare le stesse storie, a cercare di provare ancora e ancora le stesse sensazioni, la rielaborazione del passato è essa stessa una forma di evoluzione. Potrei portare mille esempi a sostegno di questa affermazione, ma me la cavo decisamente più a buon mercato perché ho tra le mani (o, meglio, nelle orecchie) l’album che dimostra incontrovertibilmente quanto vado dicendo.
Memory’s Fool è il secondo lavoro (sotto questo nome) di un musicista che si fa chiamare Fortunato Durutti Marinetti (nome d’arte che unisce un anarchico spagnolo e un poeta futurista italiano, ma che potrebbe anche riferirsi a Vini Reilly e ai suoi Durutti Column), ma che all’anagrafe dovrebbe chiamarsi Daniel Colussi, nato a Torino e che opera a Toronto, in attività da quasi vent’anni, ma rimasto sempre nell’ombra e che finora ha usato svariati nomi d’arte (The Shilohs, Pinc Lincolns) prima di approdare a quello attuale con l’uscita di Desire, nel 2020.
Nel nuovo album, ampliando quanto già fatto con il precedente, il musicista torinese attinge a molteplici riferimenti temporali e influenze stilistiche per creare una musica ibrida e avvolgente, che si muove tra folk, jazz e rock anni sessanta e settanta, per esplorare i temi della memoria e dell’irrequietezza.
Traendo evidentemente – del resto lo ammette esplicitamente nelle note di accompagnamento dell’album – ispirazione dall’indomito spirito esplorativo di cantautori come Lou Reed, Robert Wyatt o Joni Mitchell, Marinetti ha abbracciato un metodo di scrittura alquanto inusuale per la musica pop: ha scritto prima tutti i testi delle sue canzoni e solo in un secondo momento ha assemblato una band costituita da musicisti jazz, folk e rock per dare vita a Memory’s Fool che egli stesso definisce come “poetic jazz rock“.
E, ascoltando le sette lunghe tracce che compongono l’album, scritte con pazienza e amorevole cura e registrate, con Sandro Perri (anch’egli di Toronto, titolare di alcuni magnifici album a proprio nome e dei progetti sperimentali Polmo Polpo e Glissandro 70, nonché membro dei Great Lake Swimmers), con meticolosa attenzione anche al minimo dettaglio, non si può che dargli ragione: ogni brano di Memory’s Fool è una piccola opera compiuta e approfondita sul rapporto tra le sonorità del passato e il presente, un piccolo trattato filosofico, un componimento poetico che si concentra sui temi più disparati – sesso, morte, relazioni, scoperta del sé – ma che, soprattutto, ha a che fare con la memoria e con le conseguenze che può comportare vivere continuamente con lo sguardo rivolto al passato.
Già l’iniziale All Roads, che si apre con il fragore del tuono e si chiude con una lunga coda di violini, racconta in maniera poetica e struggente dello spaesamento e della necessità della memoria: “I lost track of the information/ The directions to where I’m heading/ They must be just waiting/ Somewhere for me to find/ They must be somewhere, there/ In the snowdrifts of my mind/ In the snowdrifts of my mind/ Or maybe just at the edge of the frozen waterline”.
Ma anche la successiva A Kind Of Education, vera e propria poesia in musica, contiene un passaggio che non può che richiamare il decadimento, a volte improvviso, delle nostre capacità cognitive (“Our Lady of the Morning, Our Lady of the Light/ I watched you grow old, I saw it happen overnight/ You got tired and you got cold,/ And there was no choice involved/ And so Our Lady of Eternal Blossoms became Our Lady of Slow Slow Slow Decay).
Che la memoria, il passato, l’invecchiare siano il fulcro di questo lavoro, del resto, è chiaro sin dal titolo.
Ma Memory’s Fool è anche il titolo di un brano che, pur non presente sull’album – e contenuto solo come bonus track nella versione digitale – è probabilmente la summa della poetica e delle riflessioni di Marinetti.
Con quello che è il suo brano più immediato e melodico, l’artista italo-canadese cattura, tra chitarre rilassate, una superba partitura d’archi e celestiali backing vocals, un’atmosfera sospesa tra sogno e ricordo, tra oblio e memoria: “The sky’s still and empty/ You’re caught somewhere in between/Knowing and not knowing/ Waking and dreaming/ Wishing and believing/ A deep kiss leaves a feeling/ You never want to go away/ Permanence That would be your angel’s name“.
Tuttavia, a riprova che, ben lungi dall’essere un album che si crogiola nel ricordo e nella nostalgia, Memory’s Fool è un lavoro che si interroga sul rapporto tra passato e presente, nei versi successivi, Marinetti stigmatizza questo atteggiamento eccessivamente passatista che può allontanare dalla realtà: “Because you love/ The memory/ More than the real real thing/ You must be/ Memory’s fool/ For the way you pretend/ To possess these temporary things/ You must be memory’s fool/ In the way you try to sustain/ The stillness of a still image/ Against any blurs/ Any tears along the edge.“.
E’ l’eterna lotta tra la necessità di vivere nel presente e la volontà di anelare a un passato più immaginato che ricordato, tra il tentativo di fermare il tempo e l’arrendersi all’inevitabile scorrere dello stesso.
Anche un brano come Feels Like, composto come una sorta di suite prog-rock (del tutto scevra, però, degli inutili orpelli del genere), con strati di archi e sintetizzatori che si intrecciano aerei, crea un’atmosfera sospesa nel tempo, ma un tempo che, nonostante tutto, continua, inesorabile, a trascorrere: “And it feels like/ it feels like/ Life’s flow/ Is like a slow/ A slow dark river”.
E la stessa sensazione di sospensione, di tempo in divenire, anche se senza una destinazione precisa, è veicolata dalla sincopata Everything Is Right Here, con il suo ritmo cadenzato e ciclico e, ancora una volta, i violini a dare calore e movimento: “Time and fevers tend to burn away/ After the flower blooms, the colours start to fade”.
In fondo, sembra volerci dire Fortunato Durutti Marinetti, tutta l’attività umana è indissolubilmente legata al ricordo, al passato. Ogni nostro gesto, ogni nostra azione sono condizionati da ciò che abbiamo vissuto e da ciò che chi c’era prima di noi ha vissuto, anche il sesso, l’amore, il desiderio: “What comes after desire? Repetition/ For the sake of repetition/ For the sake of repetition” ci dice in I Would Smile, “I came here for a reason/ I came to feel the feeling/ Of your blue layer/ Of your frontier/ That lays at least/ Two thousand years away from me“, ribadisce in I Came Here For A Reason.
La prima cosa a scomparire quando si perde la memoria è proprio la capacità di immaginare il futuro. E’ una riflessione contenuta in Cronorifugio, l’affascinante “romanzo” di Georgi Gospodinov sulla memoria e sul passato, ma potrebbe essere tranquillamente uno dei versi di Memory’s Fool che, ricordando la una scrittura ispirata di tanti cantautori/poeti degli anni 70, riesce a immaginare un originale ibrido di jazz-rock e folk che è del tutto immerso nel ricordo, e, proprio per questo, è, allo stesso modo, proiettato verso il futuro.
Venti, trenta o quaranta anni fa, un album del genere sarebbe stato impossibile da concepire e realizzare, proprio per la mancanza di un solido passato a cui attingere.
Oggi Marinetti ha avuto un sogno. E ha fatto in modo che diventasse realtà.
(Avete mai notato come quando si parla di sognare qualcosa, immediatamente si pensa al futuro, mentre i sogni, quasi sempre, si svolgono nel passato?).
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