Andrew Bird – Inside Problems

Francesco Amoroso per TRISTE©

There’s a point when you go with what you’ve got. Or you don’t go

To free us from the expectations of others, to give us back to ourselves – there lies the great, singular power of self-respect.

(Joan Didion)

E’ uscito il nuovo album di Andrew Bird. E’ il suo dodicesimo? Il tredicesimo? Quanti ne ha fatti negli ultimi quattro anni? Quattro? Cinque? Ho ascoltato i singoli. Carini“.
Potrebbe essere questa – lo dico con un pizzico di vergogna, perché uno degli interlocutori potrei essere io- una conversazione standard tra due appassionati -ma distratti- ascoltatori di musica folk.
Sì, perché quando un artista come il polistrumentista e cantautore Andrew Bird arriva ai vent’anni di carriera, tutti, anche i più attenti, finiscono per darlo un po’ per scontato, per credere di conoscerlo già, di non aver bisogno di ulteriori approfondimenti per apprezzare la sua opera, di non necessitare ascolti attenti per giudicare le sue nuove uscite.
Si finiscono per ascoltare i singoli che anticipano l’album, magari un rapido passaggio su quella piattaforma streaming dal logo verde e nero, un secondo passaggio, se proprio il primo, distratto, è stato piacevole. E poi si passa oltre.
C’è tanta musica da ascoltare e così poco tempo. Artisti prolifici (e affidabili) come Andrew Bird finiamo per darli per scontati.
E, invece, mai darei per scontato uno come Andrew Bird.

L’artista di Chicago è uno di quelli che, se gli si presta un po’ di attenzione, non delude davvero mai. Il suo ultimo album, uscito a giugno, abbastanza in sordina, si chiama Inside Problems ed è ispirato, come da titolo, ai pensieri complessi e intimi risvegliati dal silenzio e dall’isolamento, sviluppati in undici tracce elegantissime e rilassate, nelle quali le trovate armoniche di Bird sgorgano come cristallina acqua di sorgente, naturali e rinfrescanti.
E’ vero che negli ultimi anni Bird è sempre stato molto impegnato nella sua produzione artistica: il magnifico My Finest Work Yet nel 2019, il “festivo” Hark! nel 2020, la collaborazione con Jimbo Mathus per These 13 nel 2021, Inside Problems, il suo quarto album in altrettanti anni, e, nello stesso periodo, ha anche iniziato a recitare (un ruolo non secondario nella quarta stagione di Fargo), ha scritto la colonna sonora di The Bubble un film di Judd Apatow, e, per non farsi mancare nulla ha ottenuto la sua prima nomination ai Grammy (proprio con My Finest Work Yet…), ma la qualità del suo lavoro non ne ha mai minimamente risentito.

Bird, pur continuando a lavorare nonostante l’isolamento e la pandemia, ha dovuto affrontare momenti di solitudine e silenzio, esattamente come tutti noi, e ne ha approfittato per riflettere, per porsi nuove domante e per approfondire nuovi interessi: ha abbracciato, ancora di più, la complessità e l’introspezione e ha scoperto (o approfondito) l’opera di Joan Didion. Così, come sempre accade con le sue opere, anche nel nuovo album, Bird affronta idee profonde e complesse con ambizione e una buona dose di saggezza. E confeziona queste sue elucubrazioni in composizioni decisamente piacevoli, genialmente melodiche e articolate, senza risultare per questo meno fruibili.

Inside Problems è una sorta di reazione a My Finest Work Yet: mentre il lavoro del 2019 approfondiva temi sociali, prendendo con fermezza posizioni politiche piuttosto decise, questo si occupa interamente di… problemi interiori. E anche le sonorità che lo caratterizzano, incise con uno sparuto gruppo di musicisti e con il produttore Mike Viola, sono decisamente più intime e rilassate, accoglienti e calde. Eppure, nonostante la sua fruibilità, Inside Problems, pur sempre caratterizzato dal magnifico utilizzo del violino e dall’inconfondibile fischiettare di Bird, suona diverso dalla produzione precedente di Bird, quasi che l’autore americano volesse dare un ulteriore saggio delle sue doti, scrivendo un commentario del presente meno ancorato ai suoni della tradizione.

Non è un caso, così, che l’album si apra con la delicatezza quasi spensierata di Underlands, un brano jazzy, dai ritmi dilatati, rilassati e quasi funky, che racconta, come fosse un’osservazione casuale, dell’inconoscibilità di ciò che c’è sotto la superficie.
E, con la stessa nonchalance, Bird inserisce più o meno espliciti rimandi a Joan Didion – giornalista, scrittrice e saggista statunitense, autrice del famosissimo L’anno del pensiero magico, scomparsa l’anno scorso- e alla sua opera. Lo fa esplicitamente nella vivace Lone Didion, dove racconta, in maniera piuttosto empatica, la vicenda che ha portato proprio all’elaborazione del più famoso saggio della scrittrice americana, mentre la deliziosa e sbarazzina Atomized – con un arrangiamento quasi tropicale, tra i più riusciti e originali dell’album- deriva da un’osservazione della Didion contenuta nella raccolta di saggi del 1968 Slouching Towards Bethlehem (“I had dealt directly and flatly with the evidence of atomization, the proof that things fall apart“), ma la interiorizza e la aggiorna all’attualità.

Sorprende anche come, musicalmente, alcuni dei brani siano davvero vicini allo scarno rock dei Velvet Underground: The Night Before Your Birthday, unico brano esplicitamente a tema amoroso, sembra quasi evocare il fantasma di Lou Reed, mentre in Stop n’ Shop, che analizza la mentalità di chi ha bisogno delle armi per sentirsi sicuro e appagato (un perfetto trait d’union tra l’universale e il personale), il tentativo è quasi di prendere Reed e renderlo meno cupo, più ingenuo e leggero.

E se, come accade in Fixed Positions (a proposito della quale l’autore afferma: “Unless you make a major effort to break from routine and get a different perspective, as you get older, you are destined to become more and more conservative, paranoid, and xenophobic. So, let’s not let that happen, ok?“), caratterizzata dal fischio unico di Bird, o in Faithless Ghost, nella quale il suo violino, accompagnato dalla chitarra di Mathus, la fa da padrone, ci sono passaggi più “classicamente” birdiani (ma non per questo meno godibili), un brano come Eight, nei suoi quasi sette minuti, riesce a suonare audace e decisamente coraggioso, con la sua lunga coda strumentale, nella quale il violino di Bird si lascia andare e raggiunge vette emotive inusitate.

Commentando il brano che da il titolo all’album, Bird afferma che: “la maggior parte degli animali subisce una sorta di processo di muta. Sono convinto di farlo anche io. Non è molto piacevole ed è più psicologico che fisico, ma quando è finito, mi sento dannatamente bene”.
Non sono certo di poter dire che questo album sia il risultato di un processo di mutamento da parte dell’artista di Chicago poiché, in effetti, lo stile è assolutamente ancora il suo -unico e inconfondibile, è bene sottolinearlo- ma, quantomeno, è del tutto evidente come Inside Problems sia un lavoro ispirato e vibrante, personale e catartico che dimostra quanto Andrew Bird non si adagi mai sugli allori e cerchi sempre nuove prospettive e nuovi stimoli sonori, con risultati sempre esaltanti.
Mai dare per scontato uno come Andrew Bird. Appunto.

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Un pensiero su “Andrew Bird – Inside Problems

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