Francesco Amoroso per TRISTE©
“Era una notte buia e tempestosa.”
Quanti di noi associano questo incipit (“It was a dark and stormy night” in inglese) all’uso che ne faceva Snoopy come inizio delle sue storie?
Invece è una frase scritta da Edward Bulwer-Lytton nel romanzo Paul Clifford, pubblicato nel 1830. E se del barone Edward Bulwer-Lytton, a 150 anni dalla morte, nessuno si ricorda più, nonostante alla sua epoca ebbe un enorme successo di pubblico, di quella frase ci ricordiamo tutti. E’ diventata, anzi, una specie di topos letterario al quale si ricorre ogni qual volta si vuole un po’ prendere in giro una scrittura banale e sciatta.
Parlare del tempo – nonostante una volta fosse non solo considerato l’unico argomento non disdicevole da affrontare tra sconosciuti, ma anche uno degli elementi centrali delle arti letterarie e visive – è ormai considerato un modo neutro per avviare chiacchiere di circostanza, per eludere un imbarazzante silenzio.
Insomma il più classico esempio del parlare di nulla.
(Anche se, ammettiamolo da un po’ di tempo a questa parte le cose sono cambiate, perché il tempo, o meglio, il clima, ha assunto un importanza centrale nella nostra esistenza e parlare di cambiamenti climatici e di tempo pazzo, ben lungi dall’essere considerato inutile chiacchiericcio è diventato il fulcro del ragionamento politico degli ultimi anni).
In alcuni luoghi del pianeta, poi, il tempo atmosferico è talmente importante da caratterizzare, inevitabilmente, la vita (e, di conseguenza, ogni forma d’arte) dei suoi abitanti.
Dal punto di vista climatico, Ísafjörður deve essere un posto non facile nel quale nascere e crescere. Situato a quasi sei ore di auto a nord di Reykjavik, sulla penisola del Westfjord in Islanda, è caratterizzato da un paesaggio remoto e drammatico: le alte montagne possono schermare il sole per diversi mesi all’anno, la neve cade per circa nove mesi e il freddo è sempre intenso. Parlare del tempo a Ísafjörður è quasi inevitabile.
La giovane Arny Margret viene proprio da questo luogo non troppo ameno – ma probabilmente molto suggestivo, se ci si passa solo qualche giorno – ed è a Ísafjörður che ha iniziato a comporre e suonare la sua musica morbida e delicata che ora è andata a formare il suo album di debutto, guarda caso titolato They Only Talk About The Weather.
Si tratta di un album di formazione, che racconta, in maniera leggiadra e poetica il breve ma travagliato viaggio di auto-scoperta della musicista islandese, ma è anche un lavoro profondamente radicato nel luogo da cui proviene e condizionato dal suo clima.
Il tempo, un po’ come faceva nella letteratura del passato -gli esempi potrebbero essere tanti, dal citato Bulwer-Lytton a Mary Shelley, da Melville a Emily Brontë- fornisce a Arny Margret gli strumenti lirici per sciorinare struggenti canzoni d’amore e desiderio. La durezza dell’inverno caratterizza Cold Aired Breeze (“I am blinded by the light of winter/But it comes and goes away/I don’t like her very much/You can’t depend on anything she’ll say.”) e i venti contrari sono le forze avverse nell’apertura Whatever It Means.
In Balcony le note sparse scendono dolcemente come una nevicata mentre le delicate parole di Margret si dissipano nel gelo, come un respiro freddo. Note di pianoforte, ticchettanti come gocce di pioggia, caratterizzano, invece, Sníglar e Wind Was Blowing.
Eppure, benché già dall’immagine di copertina risulti evidente come l’ambiente nel quale è cresciuta Margret non sia caratterizzato da lunghi periodi di luce, è proprio la luminosità della sua ispirazione a far risplendere la sua musica, carezzevole, onesta e cristallina.
In Cold Aired Breeze e Ties interviene una band al completo a supportare la voce delicata di Margret, ma il resto di questo disco si sorregge sul suono di lei sola con la sua chitarra e il suo fingerpicking, proprio come probabilmente sarà accaduto nella sua camera da letto a Ísafjörður, sia nei lunghi mesi di freddo e buio che nei pochi giorni in cui il sole è costantemente sopra l’orizzonte.
Il delicato tocco delle corde che accompagna la sua voce malinconica trasmette perfettamente il senso di isolamento in The World Is Between Us: “I sent you a letter/I hope it arrives/Before the summer comes and the lonesome nights/Oh, I hate to be here so far away/I can’t wait to see you, don’t be late.”
Dopo aver pubblicato, appena pochi mesi fa, l’EP Interwined, il debutto sulla lunga distanza è un lavoro di di delicatissimo folk cantautorale, introspettivo ed emozionante.
La voce di Arny Margret, aggraziata e melodiosa, e la sua chitarra acustica, solo in rari casi accompagnate da arrangiamenti minimali, sono confortanti, amorevoli carezze, piene di calore, che emanano un fascino umbratile e schivo.
Tutti i dieci brani dell’album, con le loro morbide dinamiche compositive, dipingono bozzetti di malinconica bellezza che raccontano il suo percorso di formazione in maniera onesta e poetica, con dolci melodie che accarezzano e penetrano in profondità e ci permettono di scoprire un nuovo promettente talento folk che si è forgiato nel freddo e nella solitudine eppure riesce, con pochi tocchi, a scaldare e illuminare ogni ambiente.
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