
Francesco Amoroso per TRISTE©
Gli eccessi alimentari, soprattutto se caratterizzati dall’assunzione di una grande quantità di cibi insalubri, zuccheri e calorie, tendono a stimolare un aumento dell’insulina e del deposito di grassi nel nostro organismo. Come rimediare? La soluzione è riequilibrare il nostro organismo con un’alimentazione sana inserendo nel nostro menù alcuni alimenti semplici e non lavorati. Di seguito daremo alcuni consigli su come ottenere rapidi risultati grazie a un digiuno depurativo che non consiste in un vero e proprio digiuno drastico bensì in una dieta a base di folk essenziale e minimale basato esclusivamente sull’uso della voce e di pochi strumenti. Tale cura permetterà all’organismo di eliminare tutte le tossine accumulate in giorni e giorni di stravizi tra orchestrazioni eccessive, canzoni urlate, eccessivamente drammatiche e ruffiane e brani trasgressivi che finiscono per scandalizzare gli ultraottantenni, ma solo quelli bigotti.
Mi sono permesso, per una volta, una piccola introduzione ironica, poiché mi è sembrato un po’ surreale, in questi giorni nei quali approfondivo la conoscenza di Bailey Miller e del suo secondo lavoro, love is a dying, ascoltare e leggere dappertutto -e con dappertutto intendo anche in luoghi (e laghi) nei quali mai mi sarei sognato di sentirne parlare- della kermesse sonora sanremese. Non c’è davvero molto di più lontano del mondo di Bailey Miller e delle sue composizioni da quello delle canzoni di Sanremo. Eppure, certamente, in tutti e due i casi si parla di musica.
La dicotomia tra spettacolo e Musica (rigorosamente con la “m” maiuscola) e tra canzonette e arte colta è, francamente, stucchevole e non tiene conto delle infinite sfumature di significato della parola canzone e che, anche solo per quattro giorni (e parlando di roba nella maggior parte dei casi davvero orrenda, ammettiamolo), si parli di musica dappertutto, dovrebbe essere salutato con favore da chiunque la ami e, magari, anche preso come pretesto per inserire nel discorso qualcosa di diverso, fuori dai radar del mainstream e dei giusti comuni.
Ciò premesso, però, non posso nascondere che, dopo quattro giorni di orchestre di quaranta elementi che accompagnano anche la lista della spesa, sento il bisogno di una sorta di digiuno depurativo, di canzoni costruite su poche note, su spazi e silenzi, sui vuoti, su voci sussurrate e delicate.
Per fortuna a venirmi in soccorso è, appunto, love is a dying, nuovo lavoro della cantautrice e produttrice di Cincinnati Bailey Miller, un album schivo e umbratile, che arriva direttamente dalle retrovie del folk, da quell’angolo in penombra che è solo lambito dalla melodia e nel quale vive e prospera il minimalismo.
In love is a dying (le minuscole sono una scelta dell’autrice) la scaletta rispecchia l’ordine in cui i brani sono stati scritti e per molti di loro sono state scelte le prime take. E’ anche questo il motivo per il quale il lavoro trasuda spontaneità e onestà: nulla suona troppo studiato, nessuna scelta è stata fatta per accontentare l’ascoltatore (o per ingannarlo). Ogni nota arriva all’orecchio nuda, senza mediazione, pura. Nella traccia di apertura, glacier, le registrazioni incorporano in sottofondo i bambini che giocano in lontananza e in still c’è il rumore della strada che arriva nel microfono.
E, poiché Miller è anche una valente polistrumentista (suona chitarra, pianoforte, banjo, violino e arpa) i brani, pur minimali e registrati al limite del lo fi, risultano vari e mai monotoni: needs è imperniata sul banjo e su archi pizzicati (mentre un pianoforte fa da contrappunto in sottofondo), cul-de-sac si appoggia sulle chitarre, ink è caratterizzata da oscuri field recordings, mentre in goldfinch Miller canta a cappella su un loop di rane (sì, di rane) e se un tetro pianoforte fa da contrappunto all’elettronica in hunger, nella lunghissima mirror è l’arpa a sorreggere la voce.
love is a dying non cattura al primo ascolto, non è pieno di melodie che rimangono in testa, non rapisce l’orecchio con la bellezza della voce di Miller (che è comunque melodiosa e molto espressiva): è una raccolta di canzoni asciutte, spigolose e diafane, scontrose e dai toni oscuri che raccontano di cuori spezzati, camminando su quella linea sottile che unisce sperimentazione e ambient music al folk più scabro. L’album è dolente e fragile.
L’amore, sostiene Miller, nei suoi testi che definire poetici non è un’esagerazione, può elevarci, renderci diversi e migliori (“I have fallen deep in love with you/ against my will and sorrow/ still I find you in the morning/ rising o’er the silent hill“, still) ma può anche ferirci e lasciarci a pezzi (“oh what do I do with my love?/ it’s true, I swear it is/ I wouldn’t be telling you/ if it weren’t/ cuz that would hurt/ you and I/ both of us in different spaces and times“, in glaciers, “I used to want/ you to see/ the way I would feel/ on nights like these/ but I’m out of hope/ for being seen/ how do you not/ see me” in cul-de-sac).
Bailey Miller per esprimere i moti del proprio animo e le proprie riflessioni, non ha bisogno di essere accompagnata da un’orchestra di quaranta elementi, non ha bisogno di alzare la voce o di rendere drammatico il suo modo di cantare. Le basta avvicinarsi al microfono, suonare gli strumenti con parsimonia e cura e sussurrare, costringendoci ad avvicinarci, ad ascoltare, a rimanere attenti.
Non c’è assolutamente nulla di male a gettarsi a capofitto sul junk food ogni tanto, ma dopo una scorpacciata di cibi insalubri, è assolutamente necessario un periodo di depurazione.
Assumete love is a dying nelle dosi consigliate e smetterete presto di avere dentro di voi perenni brividi.