
Tiziano Casola per TRISTE©
Come si costruisce un album indie rock? La risposta dovrebbe essere suonando come si vuole, seguendo l’istinto o qualche linea di condotta etica-estetica possibilmente strampalata, producendo il disco con mezzi di fortuna, ma soprattutto non badando a nessun giudizio altrui su come farlo correttamente.
Certo, come no!
Sarebbe bellissimo, ma la verità è che non funziona così. Suonare spontanei è già di per sé complicato, figuriamoci suonare pure “indie”.
Prendiamo la produzione.
Registrarsi con mezzi economici, oggi, non vuol dire mica reperire vecchi amplificatori e registratori a nastro, non devo spiegarvelo io.
Il mezzo più economico e più consono a quella famosa “urgenza punk” di cui si parla nella peggior letteratura musicale è ovviamente il digitale. E il digitale è un’arma a doppio taglio. Se si registra con cognizione di causa il tutto suona troppo prodotto, ci si preoccupa delle battute, del metronomo e si diventa finti come quei suoni Apple che suonano così veri.
Se si registra in modo approssimativo esce un sound troppo cheap, e cheap in senso cattivo, cheap come quello dei singoli alla radio, altro che nastri che ronzano caldi in analogico! Dunque, altro che “indie”!
L’indie rock è un mestiere che richiede la grande abilità di riesumare il passato con tutti i suoi pregi e coi migliori dei difetti. E se fino a una decina di anni fa tutto ciò aveva un ruolo tutto sommato marginale, perché, a differenza delle sinistre l’indie rock sapeva ancora immaginare l’esistenza del Futuro, oggi la funzione del passato è tutto, perché non c’è nulla di più morto che la musica con chitarre, figuriamoci se suonata da band in carne e ossa.
A proposito di professionisti della riesumazione estetica, la prima cosa che mi viene in mentre ascoltando il disco di The Tubs è Stranger Things, serie tv di grande successo che del citazionismo smodato ha fatto un uso virtuosistico. Nello specifico, a venirmi in mente è la presenza di un poster dei primi REM nella stanza del ragazzino più sensibile e velatamente gay, cresciuto fino a qualche anno prima con le compilation punk e wave del fratello maggiore. Che sottigliezza, ammettiamolo. Proprio in quei REM di Murmur percepisco il punto di riferimento di questi The Tubs, che rispondono a tutti i parametri sopra elencati per suonare “indie”, ma con l’unica cosa che fa davvero la differenza: scrivono belle canzoni.
Belle canzoni sono infatti ad esempio Duped o Two Person Love, che ci ricordano che il miglior post punk si fa con gli accordi maggiori e il bel canto, non con le chitarre sghembe o l’esistenzialismo da due soldi. Stesso discorso vale per I don’t know how it works, splendido singolo e tra gli episodi più riusciti del disco. È però Wretched Lie, più delle altre tracce, a meritare tutta l’attenzione di ogni ex-adolescente-sensibile che si rispetti, col suo tetris ritmico di chitarre smithsiane e quella voce splendida a seguire. Da quanto tempo non lo sentite un cantato così in una band che fa musica-con-chitarre?