The Declining Winter – Really Early, Really Late

Francesco Amoroso per TRISTE©

“I can’t find my brittle youth
Is it strong enough to hold on to?
Just try it anyway
Can’t let the years without, you know
Sometimes it’s just so hard
To find something that inspires you
Your anger and hope
Did you leave these things behind?

(Hood – I Can’t Find My Brittle Youth )

“…Hood è in qualche modo intrinsecamente legato alla mia infanzia e al mio rapporto con mio fratello e i miei genitori ed è qualcosa di cui siamo davvero molto orgogliosi, ma per molto tempo è stato per lo più relegato nel passato. Lo vedo come un vecchio animale domestico di famiglia che non è morto del tutto, ma se ne sta mezzo sepolto nel giardino dei miei genitori con tutti gli altri cani, gatti, conigli e gerbilli che sono morti.” Parole di Richard Vincent Adams, fondatore, con il fratello Chris, degli Hood, band che, tra il1991 e il 2005, è stata tra le più significative e originali della scena musicale alternativa inglese, grazie a una indefinibile miscela di post rock, folk, post punk, elettronica e sperimentazione. Una band inafferrabile e in continua evoluzione.
Sono quasi diciotto anni che gli Hood non incidono nulla, eppure il loro ricordo è ancora vivido tra coloro i quali (come me) li hanno amati spassionatamente.

Per nostra fortuna i fratelli Adams in questo lungo periodo non sono rimasti con le mani in mano e se Chris ha seguito percorsi più laterali e complessi (soprattutto con il progetto Braken), Richard, con The Declining Winter, è senza dubbio il vero depositario del suono Hood, per quanto il percorso musicale dell’artista nato vicino Leeds e indissolubilmente legato alle umbratili atmosfere della campagna e dei sobborghi inglesi, sia peculiare e decisamente unico. Ora, a cinque anni dall’ultimo album, Richard è tornato con Really Early, Really Late, un lavoro che rappresenta – è bene chiarirlo subito- la vetta compositiva del percorso artistico di The Declining Winter.

Sono più di trenta anni che Richard Adams racconta il suo angolo della campagna inglese, prediligendo sempre percorsi laterali, sentieri in penombra, seminascosti dalla vegetazione e battuti dal vento. Per Really Early, Really Late, si è preso il tempo necessario, senza forzare l’ispirazione né affrettare le registrazioni. Ha lasciato decantare il suo materiale e ha amorevolmente accudito e cresciuto le sue composizioni per cinque lunghi anni, collaborando, quasi sempre a distanza, con altri musicisti quali la violinista Sarah Kemp (Brave Timbers), il violoncellista Peter Hollo (Tangents), il chitarrista Ben Holton (epic45), Keith Wallace (Loner Deluxe, Cubs), Cecilia Danell (A Lilac Decline), Gareth S. Brown (Hood), e Joel Hanson (Memory Drawings).

Ciò che ne è scaturito è una raccolta di canzoni assorte, dai tempi dilatati e dai ritmi compassati, caratterizzate da una bellezza schiva e appartata, quasi ritrosa. I brani, supportati da una ricca strumentazione che comprende archi, fiati, field recordings ed elettronica, vengono ammantati da sonorità che si muovono tra atmosfere jazzate (i quasi nove minuti di splendore della title track), chamber folk (The Darkening Way), ibridazioni bucoliche (Song of the Moor Fire), passaggi di oscuro e obliquo folk (Yellow Fields, The Fruit Of The Hours), momenti di straziante emotività (…Let These Words Of Love Become The Lamps That Light Your Way), lampi di purezza hoodiani (Project Raw Houses), atmosfere sospese e pulsanti (This Heart Beats Black) e crescendo inquieti e catartici (How To Be Disillusioned).

Sempre imperniate sui toni di chitarra peculiari e sulla voce sussurrata di Adams e cadenzate dal caratteristico basso dub, le canzoni di Really Early, Really Late possiedono una sobria ed elegante tristezza, che suggerisce perfettamente l’atmosfera della campagna inglese immersa tra le nebbie di un umido inverno. Le immagini evocate sono quelle di infiniti cieli grigi, alberi spogli, freddi tramonti, cumuli di neve sporca che punteggiano l’erba, ma non mancano passaggi più distesi che riportano alla luce “una sensazione legata all’infanzia: quella calda, accogliente e sicura di essere fuori dopo il tramonto” (tanto per citare ancora le parole dello stesso Adams).
I quasi cinquantasette minuti di Really Early, Really Late si mantengono sospesi in equilibrio precario tra speranza e disperazione (“The world is sad, we know that / But don’t be scared, there’s hope left”), afflato lirico e prosaica osservazione.

Ispirato alle sonorità degli ultimi Talk Talk, a Robert Wyatt e agli Hood di Rustic Houses, Forlorn Valleys, e indissolubilmente legato alle remote brughiere e valli dello Yorkshire, l’album finisce per essere il più elaborato e compiuto della lunga e frammentata discografia di The Declining Winter, stimolante e complesso e, allo stesso tempo, emotivo e coinvolgente.
Gli Hood sono stati tra i miei più grandi amori musicali e, nonostante la prolificità e il valore della produzione di The Declining Winter, ho continuato a sentire grande nostalgia e affetto per quella band unica e irripetibile. Da oggi, però, grazie a Richard Adams e a Really Early, Really Late, mi sento un po’ meno orfano.

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