Lisa/Liza – Breaking And Mending

Francesco Amoroso per TRISTE©

It must surely be true that there is no such collective domain of joy as there is of sorrow. You can’t be sure that another man’s happiness resembles your own. But where the collective of pain is concerned there can be little doubt at all.
(Cormac McCarthy – The Passenger)

Sembra quasi che alcuni autori abbiano in loro possesso (senza che gli sia stata mai consegnata) la chiave della nostra anima. O, per meglio dire, abbiano accesso a quel percorso -che con il tempo si fa sempre più stretto e impervio- che consente loro, e solo loro, di arrivare direttamente al nostro strato più profondo (quale che ne sia il nome) senza neanche dover passare per i sensi.
Ogni volta che mi capita di ascoltare la voce e le canzoni di Lisa Victoria, che ha scelto lo strano nome d’arte di Lisa/Liza, ho esattamente questa sensazione. Non mi è necessario comprenderne subito i testi né ho bisogno di rielaborare ciò che ha ascoltato, perché i suoi suoni e le sue parole me le ritrovo, all’improvviso, dentro, in profondità, a far vibrare quel piccolo cristallo che forse si trova da qualche parte e che risuona sempre più raramente.

Lisa racconta di aver scritto molte delle canzoni che compongono il suo quinto album vero e proprio (il primo autoprodotto, nel 2014, e poi quattro album per la Orindal dal 2016 a oggi) riflettendo sulla convivenza con una malattia cronica e sulla necessità di essere pronta, dopo ogni miglioramento, a essere di nuovo forte nel momento in cui le cose tornano a peggiorare. Ricorda i momenti di solitudine e l’importanza di combattere quella solitudine con ogni risorsa e raccogliendo ogni energia. Non si schermisce, Lisa, e non usa metafore, tanto che l’album si chiama semplicemente Breaking And Mending.
È probabile che sia questo il trucco (se di trucco di tratta e non di pura magia) che consente alle sue canzoni di compiere in un attimo quel percorso tortuoso che le porta, come si diceva, direttamente nella parte più recondita dell’animo di chi le ascolta.

La musica, ci dice ancora Lisa, in vena di confessioni, le è stata amica durante tutto questo percorso e, certamente, continuerà ad esserlo.
Lei ne è consapevole e a quest’amica, evidentemente, ha deciso di affidarsi da tempo facendone una ragione di vita. Ma non è, in fondo, anche quello che abbiamo fatto noi, da tanto tempo?
Lisa rivela che, quando riascolta le canzoni di Breaking And Mending, si rende conto di aver messo se stessa in quei brani molto più che in qualsiasi altro album e che è felice di riascoltarlo perché è riuscita a catturare il proprio panorama emotivo degli ultimi due anni.
In fondo mi sembra normale.
Mi chiedo come potrebbe essere altrimenti, quando un’artista infonde nella propria musica tutta la propria anima, con sincerità e fragilità, senza schermi o finzioni? Ciò che, invece, mi stupisce un po’ di più è come sia possibile, ascoltando gli otto brani che sono andati a comporre l’abum, che anche noi, a migliaia di chilometri di distanza e con un vissuto completamente diverso, riusciamo a provare questa sensazione.
Suppongo che abbia a che fare con quello che dice il novantenne Cormac McCarthy (contraddicendo in parte, mi pare, uno dei più famosi incipit della letteratura: “Tutte le famiglie felici si assomigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”) nel suo ultimo romanzo pubblicato in Italia, Il Passeggero e che mi sono permesso di riportare in esergo. Detto in maniera più prosaica: le persone sono felici per le cose più disparate, ma per quanto riguarda il dolore, quello colpisce tutti allo stesso modo.

Il songwriting di Lisa Victoria è sempre stato cristallino e onesto, ma in Breaking And Mending l’intimità si fa quasi crudezza, tanto che si sente una sorta di pudore nell’andare a raccontare delle sue canzoni, quasi si violasse un segreto che ci ha sussurrato nell’orecchio e che sembra voler condividere solo con noi.
Breaking And Mending è un album che crea disagio, che fa male, con le sue canzoni acustiche quasi nude e brutalmente sincere che, catturando la fragilità della sua autrice, ci costringono a guardare diritto negli occhi la nostra stessa fragilità.
Eppure, per quanto crudo e doloroso, questo nuovo lavoro non fa che confermare come Lisa/Liza abbia la capacità di trovare la bellezza e il conforto anche nei momenti più bui, esattamente così come riesce a trovare quiete e riparo negli interstizi tra le note, negli spazi di silenzio lasciati dalle corde della sua chitarra e dalla sua voce flebile eppure calda.

Rispetto al suo predecessore, Shelter Of A Song, e a tutta la produzione precedente, ciò che più colpisce di Breaking And Mending è la maggiore lucidità con la quale le canzoni sono state composte, la maniera più accurata con la quale sono state suonate e registrate. Non è un caso, perché questo nuovo disco -a differenza di quanto accadeva in precedenza quando gli album venivano realizzati in una o due sedute- è composto da brani che si sono sviluppati lentamente, attraverso un’attenta e ponderata riflessione.
È evidente nella bellezza cristallina dell’iniziale Felt Twice, con la sua chitarra acustica risonante e la sua voce sussurrata ma assertiva (“Can you find me all on your own?/ Can you shake me from a world of my own?/ Can you see me how I want to be seen?/ Can you take me where I want to go?“). Lo è ancora di più nel delicato vibrato di Held Together, dolcemente commovente (“All this time/ I was building a garden/ I was waiting for rainfall./ So I rearranged the seasons/ In order and meaning./ All that I held then was/ the weight of a feeling“), nella più positiva Kiss the Flowers (“And you’ll kiss the flowers like some hippy/ And you won’t care if it looks silly.“), nel delicato e sentito tributo a John Prine o nella title track nella quale viene citata Judee Sill e dolore e bellezza si fondono inestricabilmente (“Breaking and Mending/ light that’s worth bending/ Towards the sun, again./ Sing a song, for the song/ Not for another/ Time, remembering, time“).

Magnificamente vulnerabile e terribilmente crudo, Breaking And Mending è, senza dubbio, non solo il miglior lavoro di Lisa/Liza, quello più coeso, lucido e solido, ma anche quello che più di ogni altro riesce, raccontando il dolore, a lasciar intravedere la speranza.
Nato dalla sofferenza e dall’oscurità, è un album che porta luce e bellezza.
Per dirla ancora con il buon Cormac: “You have to believe that there is good in the world. I’m goin to say that you have to believe that the work of your hands will bring it into your life. You may be wrong, but if you dont believe that then you will not have a life.

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