Le firme di TRISTE©: Francesco Amoroso racconta il (suo) 2023: EP e Mini Lp

A chiusura (spero definitiva) del 2023, dopo il lungo riepilogo degli album, non poteva mancare anche un breve elenco degli EP (con non meno di tre brani) e dei mini-album (non più di sette brani in questo caso, anche se la distinzione tra mini album e album veri e propri diventa sempre più sfocata) che mi hanno colpito e appassionato. Questa categoria riserva sempre graditissime sorprese e, grazie alla brevità dei lavori, riesco a godermi anche band e musicisti che operano in ambiti che di solito frequento meno. Nel ricapitolare l’anno appena trascorso, per esempio, mi sono reso conto che ho apprezzato molto alcuni EP di post punk piuttosto “rumoroso”, mentre, in ambito di album, non è accaduta la stessa cosa: è probabile che le mie orecchie abbiano una limitata tolleranza per certi suoni.

Il mio EP dell’anno, se proprio devo sceglierne uno, è quello di esordio della cantautrice e polistrumentista Freda D’Souza, uscito a giugno 2023 su demo records e Crossness Records. Windowledge, eseguito, registrato e mixato a casa da Freda, attinge a punti di riferimento folk e sperimentali classici e contemporanei (tanto Vashti Bunyan e Joni Mitchell quanto Aldous Harding e Jenny Hval).
Ho, comunque, amato più o meno allo stesso modo anche i due EP (semplicemente EP 1 e EP 2) che hanno segnato l’esordio dei Theory Of Ghosts, band che raccoglie il testimone dei Piano Magic e ne sviluppa l’estetica e le sonorità, con qualche notevole spunto di evoluzione.
In ambito indie-pop sono rimasto folgorato da Good Good Great!, l’EP d’esordio per Slumberland dei Lightheaded, quartetto del New Jersey che, dopo un album nel 2019, passato sotto silenzio, evocano sonorità che vanno dal girlpop degli anni ’60, al folk-pop e al jangle pop più elegante e coinvolgente. Canzoni come Mercury Girl, The Garden, Patti Girl e la magnifica Love Is Overrated, sono un antipasto gustosissimo per il loro nuovo album previsto per l’inizio del 2024.
I due EP con i quali gli scozzesi Dancer hanno esordito (su cassetta, per GoldMold Records) si muovono tra post punk e melodia, con l’influenza di band atipiche e fuori dagli schemi come i Life Without Buildings a presiedere il tutto.

Ben Holton è uno dei miei riferimenti musicali e i suoi Epic45 occupano un posto nel mio cuore, ma il suo progetto My Autumn Empire, seppur pregevole non mi aveva finora fatto innamorare del tutto. La magia riesce, sorprendentemente, con un piccolo EP, The Sound Of Where It All Ended, composto da tre originali (due versioni dello stesso brano) e una cover. Bastano meno di venti minuti a Holton per rievocare con suoni e immagini melodiche e armoniose un passato che fa riferimento al folk e al pop degli anni 70 e 80. Una piccola chicca da non farsi sfuggire in un corpus musicale di primissimo ordine.
Atka (Sarah Neumann) è una cantautrice e produttrice tedesca residente a Londra e il suo EP di debutto The Eye Against The Ashen Sky è stato scritto lo scorso anno a Londra, parallelamente al completamento del suo master in filosofia, in cui ha studiato la teoria dello sguardo del filosofo francese Jean-Paul Sartre. Nelle quattro canzoni dell’EP si possono riconoscere le influenze della new wave e dell’elettronica (versante kraut), ma ciò che emerge, soprattutto, è la personalità di un’artista di cui spero sentiremo parlare a lungo.

Quello (omonimo) dei londinesi Deary è un mini album di sei brani (che nella versione deluxe arriva a undici, con un paio di inediti e alcuni remix), uscito per Sonic Cathedral e, senza paura di essere smentito, posso affermare che si tratta di quanto di meglio sia uscito in ambito dreampop quest’anno: sonorità sognanti nebulose e avvolgenti, che catturano immediatamente, in stile (tardi) Cocteau Twins e con una notevole propensione per le melodie.

L’EP d’esordio di Heartworms (la giovane Jojo Orme che arriva dalla piccola cittadina di Cheltenham), A Comforting Notion, prodotto da Dan Carey e pubblicato tramite la sua etichetta Speedy Wunderground, è un lavoro che pur chiaramente influenzato dal post-punk, con particolare predilezione per il sottogenere gothic, ne rielabora in maniera originale e assolutamente personale tematiche e sonorità, iniettando nuova linfa vitale in un filone che sembrava avere probabilmente detto tutto.

Gli australiani Radio Free Alice (sono un quartetto o un quintetto?) hanno esordito con un EP omonimo che contiene quattro canzoni, “una più ispirata dell’altra”, melodiche, romantiche, che rimandano alla wave inglese dei Cure, degli Smiths più primitivi degli Orange Juice e dei Josef K, ma anche alle folgoranti melodie di Strokes e co.

Di The Reds, Pinks & Purples potrei citare tutte le uscite autoprodotte su bandcamp -quest’anno almeno una mezza dozzina- ma ho scelto per rappresentarle l’EP Murder, Oral Sex & Cigarettes, più corposo e articolato degli altri. Il consiglio, tuttavia, è di recuperare tutte le uscite di Glenn Donaldson e della sua creatura che, anche se come dice lo stesso fossero davvero caratterizzate da un enveloping ennui, sono sempre imperdibili e commoventi.

Still Life è il mini album d’esordio dell’inglese Rosie Miles, che esplora narrazioni quotidiane con straordinaria vulnerabilità e suoni che aggiungono calore e profondità alle composizioni, intrecciando chitarre folk e ritmi ispirati al jazz, mentre Swan Song, il nuovo mini album di Heka (Francesca Brierley) conferma le capacità dell’artista italo-inglese di fondere sonorità classiche con un approccio contemporaneo e lo-fi e di scrivere brani intimi e intrisi di malinconia. Sul versante della malinconia e del minimalismo, bellissimo anche l’EP dell’inglese Lila Tristram, Home, registrato, prodotto e mixato in solitudine nella sua “cameretta” e uscito per wiaiwya. Approccio simile quello di Ginny, nome d’arte della giovane polistrumentista e cantautrice italiana Ginevra Fenoglio, che canta e suona tastiere e chitarre nel suo EP di debutto If I’m Not Loving You, supportata da una band che comprende il produttore dell’EP Paolo Spaccamonti alle chitarre elettriche, Federico Marchesano al contrabbasso e Dario Bruna alla marimba, Fenoglio scrive sei brani dalle delicate trame acustiche, tra chitarre, inserti di archi e sottili linee di synth.
In ambito cantautorale femminile, ho molto apprezzato il breve EP della veterana Angel Olsen, Forever Means, con quattro brani che segnano un ritorno molto marcato dell’artista americana alle sonorità che ne hanno caratterizzato gli straordinari e spettrali esordi, Dinner Alone dell’islandese Arny Margret, che, dopo il bell’esordio dell’anno scorso, conferma il suo talento e la sua capacità di scrivere canzoni calde e personali, e In The End I Won’t Be Coming Home, piccolo EP dei neozelandesi French For Rabbits di Brooke Singer che, lasciatesi un po’ alle spalle le sonorità più articolate e dreampop, tornano ai fasti acustici dell’EP d’esordio (che, non a caso, è inserito nella versione cd).

Il cantautorato e il folk pop sono alla base anche dei due EP che hanno visto esordire il sestetto di South London dei Tapir!: nei loro Act 1 e Act 2 (che preludono a un album, The Pilgrim, Their God and the King of My Decrepit Mountain, in uscita a fine gennaio, che li conterrà entrambi), però, c’è anche molto di più: ambientate in un universo immaginario di colline, mari agitati e creature rosse e ispirate dalla teatralità di artisti quali Harry Nilsson e Randy Newman, con chitarre folk, drum machine e performance vocali aeree, le loro delicate canzoni brillano di fascino folk e melodie pop dolcissime.
Forse più canonico come concetto, ma altrettanto brillante e inventivo musicalmente è l’EP degli inglesi di Bristol Ead Wood, A Sparkling Gift, un interessante mix di indiepop e folk rock (un po’ slacker), con sei canzoni melodiche e malinconiche e la bella voce del frontman Ed Soles (anche nei Langkamer).
Anche i londinesi First Day Of Spring hanno esordito con un EP, Fly Over Apple Blossom, che si muove tra indie rock euforico e momenti di profonda malinconia, con canzoni solide sia dal punto di vista della scrittura che degli arrangiamenti, ma che risulta di difficile catalogazione e, proprio per questo, davvero interessante.
Decisamente più canonico, sul versante del cantautorato, l’Ep d’esordio di Family Stereo, ma solidissimo sia nelle composizioni che negli arrangiamenti: non è un caso, perchè dietro questo pseudonimo si nasconde il cantautore del nord di Londra Blake Watt, figlio di due artisti straordinari come i miei adorati Tracey Thorn e Ben Watt. Il suo EP di debutto, Matter, è una piccola e perfetta ode alle piccole cose, con quattro tracce tra chamber pop e folk, e un retrogusto -inevitabile- dei primi EBTG e degli album solisti degli illustri genitori. Come se non bastassero due mostri sacri in famiglia.
Assolutamente convincente è anche il secondo EP solista di Oscar Browne, If Only. Polistrumentista e membro fondatore del collettivo folk londinese Broadside Hacks, Browne scrive cinque canzoni che, reinterpretando il folk in chiave moderna, raccontano le gioie e i dolori dei vent’anni, con una grazia austera e un occhio all’epoca d’oro dei cantautori (Nick Drake e John Martyn).

Tra cantautorato profumato di folk e indiepop si muova, anche stavolta, il norvegese Dylan Mondegreen (Børge Sildnes) che in Let Someone In riunisce le quattro canzoni dolcissime, euforiche e piene di melodia che ha rilasciato tra il 2022 e il 2023, in attesa che arrivi il tanto atteso nuovo album.
Allontanandosi gradualmente dal cantautorato, poi, c’è il nuovo EP dell’alfiere nostrano del sophistipop, Giorgio Tuma che -con la bella voce di Clarissa Rustico- in We Love Gilberto paga il proprio tributo alla bossa nova: canzoni scritte squisitamente, ricchi arrangiamenti, armonie esotiche, passione per il Brasile, samba e, naturalmente, bossa nova.
Con lo scozzese Laz (Lawrence McCluskey) e i suoi Bubblegum Lemonade siamo di nuovo in territori sixties e indiepop: Out There on the Radio, delizia guitar pop, la riflessiva One Hundred Wishes, e New Clothes for the Old Gods, compongono un EP di classico indie chitarristico che avrebbe dovuto anticipare un album, Lawrence of Suburbia, che, tuttavia, non ha ancora visto la luce.
E, visto che ci troviamo in territori indiepop (nei quali mi trovo sempre a mio agio), da segnalare c’è anche il nuovo EP di Field School, A Familiar Fate: Charles Bert (Math & Physics Club e Unlikely Friends) in meno di due anni ha fatto uscire quattro EP e un album e anche i cinque brani qui contenuti non tradiscono: potrei stare ad ascoltare le sue canzoni dirette ed emozionanti, cantate con la sua voce calda e onesta, per sempre.

Il post punk e dintorni, dal mio punto di vista, quest’anno ha dato il meglio di sé sulla distanza breve, grazie, soprattutto a un’etichetta: la Nice Swan Records che mi ha regalato alcuni degli EP più interessanti del genere. Innanzitutto una band esordiente: gli inglesi Hallan, con l’EP The Noise Of A Firing Gun, che ai testi sull’identità o sulla scoperta di sé prediligono storie di personaggi storici dell’antica Roma e delle scene artistiche di Berlino, virando verso sonorità più elettroniche legate agli anni ’80, senza perdere la loro grinta; poi i Cowboyy, ancora inglesi, che con Epic The Movie accennano a band come i Bloc Party, ma riescono a inserire nella loro miscela post punk robusta, anche linee di chitarra jazz e un tocco di post-rock, e ancora il nuovo mini album degli Opus Kink, My Eyes, Brother!, che, dopo l’incendiario esordio dello scorso anno, ’Til The Stream Runs Dry, tornano con un lavoro altrettanto rovente e coinvolgente, anche se forse di minore impatto, che funge da brillante prosieguo di quanto fatto e mostra uno sviluppo promettente.
Sempre per la Nice Swan Records è uscito anche Empathy Lives In Outer Space, secondo EP del duo Human Interest che eccelle nello scrivere canzoni inclassificabili, tra chitarra fingerpicking, groove sixties, bollenti riff chitarristici e molto altro ancora.

Gli scozzesi Humour, con il loro A Small Crowd Gathered To Watch Me sono un vero e proprio assalto sonoro, con voci taglienti, riff rumorosi e incessanti che si muovono con forza implacabile e testi tutt’altro che banali: Big Money è ispirata alla figura storica di Carlos Fitzcarrald, un barone della gomma del 19° secolo, feroce capitalista che distrugge il mondo naturale per il proprio profitto. Post-punk al suo meglio.
Il duo nordirlandese/olandese Fräulein consolidano con Pedestal il suono del loro EP di debutto A Small Taste: rock alternativo dal sapore anni ’90 e suono crudo e diretto, con l’aggiunta di interessanti trovate che rendono le loro canzoni assolutamente personali e immediatamente riconoscibili.
Una considerazione simile può farsi per i Divorce, da Nottingham, che con Heady Metal bissano il successo dell’esordio Get Mean e consolidano la loro fama di band originale e capace di scrivere brani di grande personalità.
Mi piacerebbe, nello stesso ambito sonoro, citare anche gli English Teacher che quest’anno hanno fatto, però, uscire solo quattro brani singoli (almeno uno, Nearly Daffodils, è una bomba) e neanche un EP: sono certo che ne sentiremo parlare, perché il loro songwriting e la loro capacità interpretativa è di gran lunga al di sopra della media. Speriamo che presto arrivi un album d’esordio.

Infine tre lavori di difficile collocazione: il ritorno sulle scene dopo vent’anni di Charles Bissell -il cantautore e produttore dei mitici Wrens- con i Car Colors: Old Death, EP di tre pezzi che anticipa l’album d’esordio in arrivo nel 2024, assomiglia molto a un disco dei Wrens e contiene tutti i segni distintivi dei Wrens, il che per me è un pregio, grande; l’esordio del progetto The 3 Clubmen, che vede il grandissimo Andy Partridge degli XTC con Jen Olive e Stu Rowe: quattro canzoni avant-pop sperimentali e gustosissime, con influenze jazz e sentori retrofuturistici, che dovrebbero anticipare l’uscita di un vero e proprio album d’esordio; e poi il mini album del progetto Great Panoptique Winter, duo formato da Jason Sweeney (Panoptique Electrical) e Richard Adams (The Declining Winter, Hood): This Time Alone, il loro secondo lavoro, risultato di un decennio di scambi e di collaborazione, vede la luce sull’etichetta Sound in Silence e presenta l’iniezione di trame pop minimali e brani più vicini alla forma canzone, avvicinandosi alle atmosfere di artisti immensi quali David Sylvian e Brian Eno.

E’ tutto? E’ tutto!


Freda D’Souza – Windowledge

Theory Of Ghosts – Ep1/EP2

Lightheaded – Good Good Great!

Dancer – Dancer/As Well

My Autumn Empire – The Sound Of Where It All Ended

Atka – The Eye Against The Ashen Sky

Deary – Deary

Heartworms – A Comforting Notion

Radio Free Alice – Radio Free Alice EP

The Reds, Pinks & Purples – Murder, Oral Sex & Cigarettes

Rosie Miles – Still Life

Heka – Swan Songs

Lila Tristram – Home

Tapir! – Act 1/Act 2

Great Panoptique Winter – This Time Alone

Family Stereo – Matter

Ginny – If I’m Not Loving You

Field School – A Familiar Fate

Opus Kink – My Eyes, Brother!

Oscar Browne – If Only

French For Rabbits – In The End I Won’t Be Coming Home

Humour – A Small Crowd Gathered To Watch Me

Angel Olsen – Forever Means

Dylan Mondegreen – Let Someone In

The 3 Clubmen – The 3 Clubmen

Human Interest – Empathy Lives In Outer Space

Arny Margret – Dinner Alone

Ead Wood – A Sparkling Gift

Divorce – Heady Metal

Giorgio Tuma – We Love Gilberto

Car Colors – Old Death

Bubblegum Lemonade – Out There On The Radio EP

Hallan – The Noise of A Firing Gun

Fräulein – Pedestal

First Day of Spring – Fly Over Apple Blossom

Cowboyy – Epic The Movie

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