St. Vincent + Coves @Auditorium Parco della Musica – Roma, 16/11/2014

Ugo Salerno per TRISTE©

“Una fiamma di strass sul vestito non scalda un concerto freddo”

Questa è la frase più divertente che ho sentito all’uscita dalla sala Sinopoli, dopo il
concerto di St. Vincent domenica scorsa.

Tanto divertente quanto lontana dal vero. Forse vero è che se non ti senti rapito
completamente dalla figura di Annie Clark durante uno degli show di questo tour,
probabilmente il problema è dentro di te.

st.vincetliveSt. Vincent arriva sul palco dopo i Coves, di cui ricordiamo la splendida acconciatura della cantante e i bicipiti del chitarrista e qui ci fermiamo perché non credo di poter aggiungere nulla di davvero utile sull’argomento.

Dicevamo, St. Vincent arriva sul palco, ed è lei il serpente a sonagli,
Rattlesnake, un’immagine sicura, completa, che riesce a farti sentire trentadue anni
di performance rock/pop e allo stesso tempo superarli e alzare il livello per le
prossime, emanciparsene, essere completamente se stessa, eccellente chitarrista e
compositrice dall’identità oramai inconfondibile.

Assistere ad un concerto di St. Vincent stando comodamente seduti sulle poltrone dell’Auditorium è disumano, una tortura alla quale spero di non dovermi mai più sottomettere. Tra Digital Witness, Cruel, Regret, Birth In Reverse, rimanere attaccati a quelle fottutissime, comode poltroncine è stato innaturale.

Nonostante ciò, la cara Annie, venuta da un pianeta che tutti conosciamo pur non essendoci mai stati, scherza col pubblico tra personalissime e divertenti rivisitazioni della storia, discorsetti sulla speranza che noi, brutti stronzi figli del ventesimo secolo, non perderemo mai e, ovviamente, le canzoni: quasi tutte estratte dall’ultimo St. Vincent, le immancabili Cruel e Cheerleader, Strange Mercy, Your Lips Are Red e in mezzo anche l’inedita Sparrow.

I Prefer Your Love, Annie. Compagna perfetta di viaggio e di ipnotiche quanto
apparentemente semplici coreografie, la tastierista Toko Yasuda. Il concerto è un
perfetto sunto di quello che Annie Clark è diventata col passare del tempi, album
dopo album. “A guitar goddess”, dicono. Io dico che è il perfetto equilibrio tra
l’insopportabile glam di una popstar navigata e le sbavature insopportabili, per
quanto inevitabili, di una rockstar sfasciona.

Potrei continuare ad annoiarvi con la figura di St. Vincent per ore, ma penso che il
momento più significativo sia stato vederla, dall’alto, giù in platea letteralmente
circondata da iphone impazziti alla ricerca del selfie perfetto. e lei, visibilmente
divertita da quella follia che è questo nostro tempo, giocare con quella stessa follia
dell’ineluttabile testimonianza digitale che ci porta a chiederci se serva a qualcosa
dormire se non te lo posso mostrare, se non riesci a vederlo.

Quale vero artista non è annegato col sorriso tra le sue enormi contraddizioni?

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