Ho iniziato ad ascoltare rap nel 1998: all’inizio cose italiane, poi america, poi UK, per arrivare infine a scoprire nel corso degli anni che una musica che può apparire abbastanza semplice da concepire è tutto il contrario, e l’alchimia per costruire dei gioiellini da ascoltare almeno una volta alla settimana è materia rara.
E poi come d’incanto arrivarono loro: parlavamo di gioiellini, no? I Run The Jewels.
L’esposizione del rap ad un pubblico molto più ampio ha trovato tra i suoi numi tutelari contemporanei il duo Run The Jewels: Killer Mike ed EL-P, non esattamente due sconosciuti.
E Run The Jewels 3 (RTJ3) arriva a confermare lo standard qualitativo alto che abbiamo conosciuto nei due precedenti capitoli. Un rap davvero contemporaneo, che affida alle basi digitali (no trap d’accatto) la sua forza insieme al flow sempre fluido e potente dei due.
Come sempre la produzione di EL-P prende la scena proponendo soluzioni sempre nuove che provano a spingere più in là il limite: si notano ritmi più dilatati che inficiano sulla durata (il disco è lievemente più lungo dei suoi due predecessori) e che sottraggono un po’ di potenza per regalare scorci più atmosferici.
I featuring di prestigio contenuti nell’album (Danny Brown, Zack De La Rocha, Tunde Adebimpe, Kamasi Washington) arricchiscono la varietà e di certo il peso della cartella stampa, anche se l’apparizione al sax di Kamasi in Thursday In The Danger Room si lascia ascoltare bene come contrappunto al ritornello.
Questo per la parte strettamente strumentale, davvero varia e capace di farci perdere dentro un mare di sample, idee azzeccate e quant’altro. Per la parte vocale, che è il cuore pulsante poi di un disco simile, l’analisi dei testi sarebbe sicuramente troppo lunga per essere contenuta in una semplice recensione.
E il mio viaggio personale partito nel 1998 per non fermarsi più, sembra proprio trovare sempre nuova linfa per perdersi ancora tra voci e beat d’oltreoceano e non.