Birds of passage – The Death of Our Invention

Peppe Trotta per TRISTE©

Concentrarsi sull’essenza delle cose, spogliarle da ogni inutile orpello, per evidenziarne la reale portata.

Una visione semplice ma non semplicistica, perfettamente sintetizzata dal paradigma miesiano “less is more” che ha segnato la mia formazione universitaria fino a divenire esteso approccio al fare e che con insistenza ritrovo in tante espressioni artistiche a me congeniali.

Un ricorrere ad un lessico centrato e minimale che è una delle ragioni che mi ha irresistibilmente condotto alcuni anni fa alla scoperta dell’algido universo sonoro di Birds of Passage.

Interrompendo uno iato lungo ben quattro anni, Alicia Merz disegna un nuovo percorso attraverso territori definiti da dilatati e vaporosi droni screziati da soffici coltri granulose, dai quali emergono frammentarie trame melodiche solo a tratti maggiormente strutturate (Shadows of our mind, Without the world) ad incorniciare il flebile dispiegarsi della sua voce evanescentemente cristallina.

Quel che scaturisce è una intimistica sequenza di indefiniti paesaggi emozionali sospesi in una dimensione avulsa dallo scorrere del tempo, nei quali lasciare riverberare con enfasi ogni singola fragile stilla risonante ad infondere rinfrancante calore ad un impenetrabile oceano di malinconica solitudine.

Un’immersione in un mondo affascinante costantemente in bilico tra incombenti ombre dense di inquietudine (Modern Monster) e placide aperture colme di delicata dolcezza (The Love Song), entrambe plasmate con scarna e minuziosa grazia.

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