Francesco Giordani per TRISTE©
Ce ne vorrebbero a migliaia, a centinaia di migliaia, di artisti come Gruff Rhys, in questo mondo. Oggi più che mai, probabilmente.
Il gallese, noto ai più come voce e onirica penna dei Super Furry Animals, in venticinque anni suonati (in ogni senso…) di più che stimabile carriera, ha viaggiato in lungo e in largo, dentro e fuori lo spartito, a piedi o con la testa, nei vastissimi, imprevedibili, territori del verosimile; spesso e molto volentieri sconfinando anche parecchio più in là ma sempre guidato dalla scintilla di una visione benevola, pulsante, totalmente gallese, che più gallese davvero non si potrebbe.
Concept-album piacevolmente inclassificabili dedicati alle biografie di John De Lorean o di Giangiacomo Feltrinelli – parliamo, se non lo conosceste, dello splendido disco Praxis Make Perfect, a firma Neon Neon, con indimenticabile cammeo dadaista di Sabrina Salerno.
Viaggi in Patagonia, alla ricerca di remoti antenati, o nel Midwest americano, sulle tracce di esploratori gallesi settecenteschi come John Thomas Evans, che poi magari diventano romanzi, album, applicazioni per telefono, documentari o addirittura film. Temerarie quanto tenere instant-song anti-Brexit. Collaborazioni che dai Gorillaz saltano a piè pari ad album psichedelici scritti a quattro mani con oscuri stornellatori brasiliani (vedi The Terror of Cosmic Loneliness a firma Tony Da Gatorra Vs Gruff Rhys).
Tutto questo è Gruff Rhys. Un esploratore, un “frontier man”, come lui stesso si definisce nella traccia inaugurale di questo suo quinto sigillo solista, che segna peraltro il ritorno su Rough Trade a ben undici anni dai deliziosi origami trilingui (inglese, gaelico e spagnolo) di Candylion, album tanto felicemente ispirato da divenire tre anni fa un’operetta rappresentata con successo al Teatro Nazionale del Galles.
Presentato alla stampa come un album ispirato a visioni apocalittiche di un Galles oscuramente futuribile, Babelsberg è soprattutto l’ennesimo sogno di Rhys che diventa realtà a beneficio delle nostre incredule orecchie. Il sogno, tanto per intenderci, wilsoniano sin nelle midolla, era stavolta quello di incidere un album di pop interamente orchestrale. A renderlo possibile l’arsenale di meraviglie della BBC National Orchestra of Wales che, con i suoi settantadue elementi guidati dal compositore gallese Stephen McNeff, ha avvolto le sempre preziose melodie di Rhys in un alone di volatile incanto e di grazia retro ancor più sottile e sfuggente.
Al cospetto di canzoni come Negative Vibes, Take That Call, Architecture of Amnesia, Oh Dear!, The Club e Limited Edition Heart (queste ultime due bellissime) si è profusamente parlato di chamber pop, di Burt Bacharach, di Scott Walker, di Gainsbourg, di Glen Campbell e Jimmy Webb o dei Love di Forever Changes.
Tutto vero, ci mancherebbe, ma si dia per una volta a Rhys quel che è di Rhys, autore eccentrico eppure di statura maiuscola, estroso titolare di un repertorio immaginifico tanto vario quanto innegabilmente solido, che proprio oggi, sulla soglia dei cinquant’anni, raggiunge il suo probabile picco di maestria.
Doveva cantarci l’incubo del futuro questo Babelsberg. Trascrive invece il suono di un sogno che soffia bellezza sul nostro malconcio presente.