Il tour europeo di supporto al nuovo disco di Julia Holter, Aviary uscito lo scorso mese per Domino, comincia da una cittadina del nord dell’Olanda, Leeuwarden.
L’esibizione, incastonata nella programmazione del festival Explore The North (rassegna legata al fatto che la capitale della Frisia quest’anno è la capitale europea della cultura), si è svolta in un piccolo teatro (De Westerkerk) nel centro cittadino: capienza ridotta e limitata, atmosfera cordiale tipica degli autoctoni, caldo a proteggerci dalla temperatura sottozero dell’esterno.
Iniziamo con due “contro”: problemi tecnici hanno ritardato l’inizio dell’esibizione, dandoci comunque un esempio reale e concreto del pragmatismo locale (tutto risolto in pochi minuti) e il cartellone compatto del festival portava la gente a spostarsi verso le altre location del festival appena finiva un pezzo, dando un effetto “che noia me ne vado” da parte del pubblico davvero non gradevole per l’artista e anche per chi invece è rimasto catturato dalla resa live di Aviary.
Sì perché almeno in questa data la Holter ha interpretato esclusivamente brani tratti dall’ultimo disco, una decisione azzeccata, vista l’unicità della musica espressa in Aviary, lavoro che si allontana per un percorso tutto suo dagli album precedenti, compreso l’ultimo apprezzatissimo Have You In My Wilderness.
Aviary è un viaggio sonoro che partendo dalla voce sublime di Julia si sposta in territori free, di classica contemporanea, grazie all’apporto di archi e fiati (inclusa la cornamusa, suonata anche live da un componente della band) e mai come in questo caso il concerto è stato in grado di mettere ancora più a fuoco la sostanza e il lavoro dietro il prodotto in studio.
Aviary è infatti un disco non adatto alle modalità di fruizione contemporanee, basate più sullo streaming e la condivisione digitale: senza risultare profani sarebbe come dare un primo ascolto a Spirit of Eden o a Laughing Stock dei Talk Talk dalle casse del pc, la sensazione di viaggio sembrerebbe mutilata, monodimensionale.
Quindi assistere in presa diretta agli incroci e ai giochi tra gli strumentisti sul palco ed assistere alle evoluzioni di queste che sono piccole suite, agli antipodi o quasi rispetto ai lavori seppur di grande valore di cantautrici contemporanee (il modello che da Sharon Van Etten in poi ha trovato tanta ottima discendenza) è opportunità essenziale.
Julia come una moderna Alice Coltrane o Kate Bush guida e tutti noi restiamo in silenzio, affascinati: questo è un disco, un live, un’esperienza di cui si parlerà ancora tra venti anni e più, statene certi.
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