
Alberta Aureli per TRISTE©
Come è bello l’autunno appena all’inizio, la luce che cambia in un’ora soltanto e diventa rosa, e grigia, e poi blu, tornerà quella bianca dei giorni più freddi ma per il momento dal cielo incerto e mutevole cade l’acqua che arriva in profondità nella terra secca e impasta le zolle aperte dal caldo.
Rivoli metropolitani e pozzanghere in ogni dove, non basta allora aver aggiunto i calzettoni ai sandali, siamo zuppi come le strade lucide, l’acqua torna alla terra. E alla terra torniamo anche noi, come gli alberi, ogni volta che qualcosa o qualcuno sembra volerci sradicare, ogni volta che il vento soffia così forte da sollevarci in aria. E alla terra torna, per la terza volta, anche Andrew Wasylyk con il suo Fugitive Light And Themes Of Consolation, un disco dichiaratamente autunnale dedicato, come i precedenti due, alla sua regione d’origine, la Scozia della costa orientale.
Una trilogia come una lunga ode alla storia, all’architettura e all’ambiente che forse ha più a che fare con una visione cinematografica e immaginifica che con una ricostruzione autobiografica.
Rispetto ai precedenti due dischi Themes for Buildings and Spaces (2017) e il successivo The Paralian (2019), realizzati pensando a Dundee (città natale di Wasylyk) e alla costa est della Scozia, soprattutto nell’iterazione tra le costruzioni dell’uomo e la natura, quest’ultimo ci porta nell’entroterra, lungo l’estuario del fiume Tay, in un viaggio ancora più profondo e meno strutturato intellettualmente. Annullando i riferimenti geografici e storici più precisi l’atmosfera mistica di questo capitolo interamente strumentale si compone come un omaggio alla forza antica e alla presenza consolatoria della natura.
Insieme ai riferimenti dello spazio perdiamo anche quelli biografici dell’autore e Fugitive Light And Themes Of Consolation finisce per evocare più che raccontare un paesaggio onirico, solo falsamente rappresentabile, più interiore e personale che reale, un paesaggio, in effetti, a cui è facile far coincidere il proprio, anche se a molta distanza.
La capacità e il talento di Wasylyk (Andrew Mitchell in verità) sono tutti nel riuscire a mimetizzare i suoni dei suoi molti strumenti a quelli della natura perché ci arrivi intatta la profondità della terra a cui apparteniamo.
È per questo che le sue dita sui tasti possono scivolare come le onde piccole del fiume Tay e Black Bay Dream sembrare una fotografia notturna dell’acqua buia che riflette la notte. Da Last Sunbeams of Childhood a Fugitive Light Restless Water fino a Everywhere Something Sublime l’ode di Wasylyk, sospesa tra spiritualità jazz e paesaggi sonori avant-garde omaggia l’ultimo raggio di sole, baluginio incerto di speranza, le verità raccontate al chiaro della luna e la luce viola dell’autunno appena iniziato.
La colonna sonora migliore dei nostri giorni che cambiano.
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