
Francesco Amoroso per TRISTE©
Se vi dicessi che in un solo album potreste ascoltare i Magnetic Fields, i Pains Of Being Pure At Heart, i Wild Nothing, i Cure, e un po’ di Echo & The Bunnymen, probabilmente pensereste che si tratti di una strana raccolta che unisce sonorità simili ma provenienti da epoche e luoghi lontani o che magari si tratti di una colonna sonora di qualche bel film indipendente, di quelli che vengono presentati al Sundance e, dopo qualche tempo, finiscono anche per diventare di culto.
E invece no! Non si tratta di alcuna raccolta o colonna sonora, ma di Pious Fiction,ll’album d’esordio di Julian Never, alias di Julian Elorduy, residente a Sacramento, CA ed ex batterista del gruppo MAYYORS.
Pious Fiction è uno di quegli album che, all’inizio almeno, si può fare un po’ fatica a inquadrare: è composto da quindici canzoni che fanno l’effetto di un ascolto in shuffle, fino a quando la voce baritonale di Never e la sua impronta jangle pop non prendono il sopravvento e riescono a dare un senso a tutto, rendendone l’offerta musicale più coesa e coerente.
Se è proprio il jangle pop a essere l’elemento caratterizzante dell’album, Julian Never non si limita a richiamare pedissequamente gli stilemi del genere, anzi spesso li strapazza e stravolge, arricchendo i suoi brani di mille diverse suggestioni.
Per descriverlo sono stati richiamati i Magnetic Fields di Stephen Merritt e i Byrds, oppure l’indie pop vagamente oscuro dei Veronica Falls o addirittura gli Smiths: non è un elenco casuale e nessuna di queste suggestioni è errata, ma non può che essere una descrizione approssimativa.
La maestria dell’americano, infatti, risiede nella capacità di amalgamare sapientemente, come un buon cuoco, tutti questi ingredienti e di cucinare una pietanza sempre gradevole e appetitosa.
La sua voce può richiamare Jack Tatum dei Wild Nothing e, subito dopo, far venire in mente Nick Cave, ma, in ogni caso, riesce, sia che si alzi verso i toni più acuti, sia che si adagi su un cantato da crooner, a toccare sempre le corde giuste, ma ciò che sommamente stupisce, una volta che si è entrati un po’ più in profondità in Pious Fiction, è come ogni canzone abbia una propria personalità ben definita e, pur prendendo spunto dagli innumerevoli riferimenti citati, riesca a suonare brillante e originale, grazie alla capacità del suo autore di sciorinare melodie a presa rapida e ganci e ritornelli infallibili.
Registrato e mixato su apparecchi da pochi dollari che hanno permesso a Never di fare tutto il lavoro in maniera casalinga, Pious Fiction è un album di canzoni, ma ha un impianto concettuale solido: partendo dal jangle pop e spingendosi verso territori stilistici contigui al synth pop e alla wave più classica, sperimenta vari registri, finendo spesso per suonare più C86 di tante band che su quella straordinaria cassetta ci sono finite sul serio.
Una canzone come Grassharp, con i suoi synth scintillanti, farebbe comodo a ogni band della Captured Tracks, mentre l’iniziale Seven Steps sarebbe potuta finire su una raccolta della Creation Records, Relax sembra una ballata anni cinquanta reinterpretata in chiave new wave (e tanti ci avevano già provato, ma con risultati non altrettanto lusinghieri) e Come On (Now) non si fa scrupoli nel richiamare il sound gli Stereolab, prima di rivelarsi un brano wave dal ritornello irresistibile. E che dire dell’organo di Precious che ci catapulta direttamente verso i Felt? O delle chitarre di Silver One che, sostenuta da eterei synth, pennellano una hit degna della mitica Flying Nun (esplicita influenza di Julian)?
Altrove si può trovare una vena sonora più tenera (la magnifica e umbratile Ursuline, Luv), passaggi quasi lo fi (City Grrl), ma le canzoni di Pious Fiction sembrano sempre spingersi un po’ più in avanti rispetto ai generi che citano e, così facendo, ci spiazzano, rendendo il tutto più stimolante ed eccitante.
Julian Elorduy, attraverso la sua prima creatura, dimostra di avere uno spirito creativo indomito e un coraggio non comune nello stravolgere i generi da cui dichiaratamente prende spunto. Pious Fiction è un lavoro che esprime grande amore per il passato, ma nessuna sottomissione a esso.
D’estate, ai tempi dell’adolescenza, il nostro stabilimento balneare ci permetteva di scegliere (e comprare a nostre spese) i quarantacinque giri da mettere nel juke-box. Pious Fiction mi fa un po’ l’effetto di quel juke-box, ma all’effetto nostalgia affianca l’eccitazione per la novità.
Ascoltatelo, non ve ne pentirete.
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