Scree – Jasmine On A Night In July

Francesco Amoroso per TRISTE©

This jasmine in the July night is a song
for two strangers who meet on a street leading nowhere
.”
(M. Darwish – Night That Overflows My Body)

«Non ho parole» ho scritto. «Ma credo che ne troverò.»”
(P. Nori)

La continua ricerca di album, libri, film, opere d’arte che possano emozionare e coinvolgere è una attività nella quale spesso metti anima e corpo, fatica e impegno, pur senza sapere se sarai premiato. Capita però, a volte, che siano alcuni dischi a trovare te, senza che tu avessi il minimo sentore di starli cercando. Li trovi semplicemente lì, nelle tue orecchie, e fai anche un po’ di fatica a ricordare come mai ci sono finiti. Eppure ci sono e non fanno altro che imporsi alla tua attenzione quietamente, con discrezione.
Personalmente passo un sacco di tempo (forse troppo) a cercare nuova musica e nuovi artisti che mi emozionino e finisco spesso per trovarne, ma quando capita che sia un artista o un album a trovare me, la soddisfazione è ancora maggiore.

Il trio strumentale di Brooklyn Scree aveva sfiorato le mie orecchie lo scorso anno con un brevissimo EP, Slow Bloom che, tuttavia, avevo ascoltato poco e presto dimenticato (a posteriori, per mia evidente insipienza).
Così è stato solo grazie alla circostanza che il loro nuovo album uscisse per l’etichetta di folk sperimentale Ruination Records che mi sono preso la briga di prestarvi orecchio. Ciò nonostante sono bastati pochi ascolti, anche disattenti, perché Jasmine On A Night In July mi conquistasse.
Presentato come un lavoro di spiritual jazz (termine molto in voga che, come tutte le categorizzazioni, vuol dire davvero poco) il lavoro dei newyorkesi Scree è esattamente uno di quegli album che invece di aspettare di essere trovati, sono loro a trovare te: caldo, intenso, immediatamente familiare, come se si trattasse di qualcosa che abbiamo sempre conosciuto, è un lavoro incatalogabile e allergico a ogni classificazione o cliché.

Jasmine On A Night In July è il debutto in studio (nel 2019 era uscito un lavoro che riproponeva una performance live della band) del trio guidato dal chitarrista arabo-americano Ryan El-Solh e che comprende la contrabassista Carmen Q. Rothwell (che ha collaborato anche con il nostro amato Ben Seretan) e il batterista Jason Burger (Big Thief, Renata Zeiguer).
Definirlo un album jazz è probabilmente una semplificazione, anche se non credo di possedere i mezzi tecnici per confutare questa affermazione (se non che non ci sono assoli o virtuosismi di alcun genere…). Ciò che so, per certo, è che nelle sue nove composizioni (una sola delle quali, quella iniziale, supera i cinque minuti di durata) si può trovare una sorta di summa della musica americana – a partire dal folk, passando per la psychedelia, fino ad arrivare al post rock (quello di Chicago) – filtrata da una sorta di attitudine esotica.
Le radici libanesi e palestinesi del chitarrista El-Solh rendono, infatti, l’approccio alla materia sonora degli Scree decisamente personale e riconoscibile, e se da un lato sono evidenti le suggestioni di chitarristi contemporanei come Marisa Anderson o di band che, partendo dal post rock, lambiscono territori jazz (Tortoise, Dirty Three), è, d’altro canto, palese l’influenza della cultura musicale araba.

Quanto a questa influenza, che colgo pur senza avere riferimenti, non posso che affidarmi a quanto detto nelle note che accompagnano l’album dove si cita il suono dell’oud, il lavoro del chitarrista egiziano Omar Khorshid e il compositore libanese Ziad Rahbani. Quel che è certo ed esplicito è che le composizioni dell’album sono ispirate alla poesia del grande poeta palestinese Mahmoud Darwish, le cui opere hanno a che fare con nostalgia, eroismo e romanticismo. Tuttavia El-Solh interpreta musicalmente i temi del poeta attraverso un approccio decisamente americano: i brani di Jasmine On A Night In July non sarebbero potuti nascere senza il bagaglio delle sonorità del jazz, del folk e del post rock qui rivisitate in maniera delicatamente poetica e affascinante.

Jasmine On A Night In July è una meditazione in musica sui temi del ricordo e del desiderio (temi fondamentali sia per la musica occidentale che per quella araba) e non ha bisogno di parole per trasmettere l’aspirazione verso qualcosa di lontano, perduto, che sia la terra degli avi, l’amore di un altro essere umano o la connessione con il divino. È musica che sembra scritta per camminare nelle notti solitarie attraverso un paesaggio del deserto, che sia il Mojave o il Wadi Rum, tra cactus o profumati cedri.
Nelle melodie di El-Solh si può scorgere un fantomatico Burt Bacharach libanese (la title track), o un Ennio Morricone in salsa orientale (Half Death, Fresh Bread), ma anche qualcosa della lounge psychedelica tanto in voga in Turchia (Victory Signs, Questions for The Moon) e un’immancabile ed elegante tocco lounge (Beautiful Days, Fatigue) che regala a queste composizioni un sapore quasi cinematografico.

È una sensazione piacevole, ogni tanto, quella che si prova perdendosi in luoghi e paesaggi sconosciuti. Sempre che, alla fine, qualcuno venga a recuperarti.
Prima di ascoltare gli Scree non mi ero nemmeno accorto di essermi perso.
Poi è arrivato Jasmine On A Night In July e mi ha trovato.

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