Francesco Amoroso per TRISTE©
Affrontare un album composto da ben venti canzoni sembra, di questi tempi, un’impresa al di là delle nostre possibilità.
Abbiamo giusto una mezz’ora di attenzione da dedicare a un lavoro, quaranta minuti al massimo. Poi dobbiamo passare a quello successivo, alla novità del momento, all’opera oscura appena scoperta. Chi ha tempo per dedicare centoventi minuti a un solo album, per quanto questo possa essere valido?
Evidentemente, però, i Big Thief di queste considerazioni se ne fregano abbastanza.
E, allora, a oltre due anni da U.F.O.F. e Two Hands, i dischi gemelli usciti nel 2019 (con una scelta artistico-commerciale che, anche in quel caso, andava piuttosto controcorrente) i quattro musicisti americani sfornano un lavoro, Dragon New Warm Mountain I Believe In You, ambizioso e esagerato sin dal titolo. E se avete voglia di soffermarvici per più di mezz’ora bene. Altrimenti peggio per voi. Non sapete cosa vi perdete.
E sì, perché con Dragon New Warm Mountain I Believe In You, uscito ancora per la 4AD, i Big Thief, sicuramente una delle band più ispirate e coinvolgenti degli ultimi anni, ha deciso di andare all in, per usare un termine pokeristico.
Contrariamente ai lavori precedenti, che avevano sonorità piuttosto uniformi e tracklist compatte, il nuovo album, infatti, è quello in cui Adrianne Lenker, Buck Meek, Max Oleartchik e James Krivchenia hanno riversato tutte le proprie influenze e le proprie passioni, tutto l’amore per il folk, per il country e per il rock in un’opera complessa e elaborata, senza preoccuparsi della coesione dei suoni, ma lasciandosi andare e assecondando l’estro del momento e il loro immenso talento.
Le venti canzoni che compongono l’album sono ricchissime di sfumature e differiscono nella produzione, negli arrangiamenti e nel tono, con buona pace di qualsiasi linearità e coerenza. Eppure suonano leggiadre e appassionanti, sincere fino al midollo.
I Big Thief hanno deciso di andare oltre i limiti che si erano autoimposti nei lavori precedenti e sono stati perfettamente coerenti con questa scelta.
Se, nel passato, erano sempre entrati in studio con una ventina di canzoni più o meno già pronte per poi ridurle a dieci o quindici, come racconta Meek, questa volta -anche grazie al maggior tempo a disposizione, dovuto all’annullamento di ogni tour causa pandemia- i Big Thief, incalzati da James Krivchenia, che aveva manifestato la volontà di produrre personalmente il nuovo album, hanno pensato bene di registrare ogni singola canzone o idea che fosse venuta fuori dalle sessioni in studio.
Non paghi di questa scelta, la band ha pensato bene che sarebbe stato eccitante lavorare in diversi studi in giro per gli States per completare le registrazioni e fare in modo che la situazione rimanesse sempre stimolante.
E’ stata questa probabilmente la scelta vincente, quella che ha fatto sì che l’album riesca a mantenere l’attenzione dell’ascoltatore per ognuno dei settantanove minuti della sua durata. Spostarsi da uno studio all’altro ha portato ogni volta nuova linfa a tutto il processo, portando in superficie le diverse sfaccettature del suono della band, anche quelle in passato più sacrificate sull’altare della coerenza stilistica: la country music, le radici jazz, il lato più grintoso e rock e quello più introverso, acustico e mistico sono tutti presenti e in perfetto equilibrio in Dragon New Warm Mountain I Believe In You.
Per ognuna di queste influenze, per ogni sfaccettatura del caleidoscopico suono dei Big Thief, per dare risalto e sfogo a ogni aspetto della propria musica, la band ha, così, lavorato con diversi ingegneri del suono e in diverse condizioni ambientali. Innanzitutto si sono recati in Arizona a registrare con il fidato Scott McMicken dei Dr. Dog con il quale i musicisti hanno tirato fuori il loro suono più country, con risultati diretti e di grana grossa, al limite del lo-fi.
Poi si sono spostati nello studio di Jonathan Wilson, il Fivestar nel Topanga Canyon, studio di altissima fedeltà dove, con Shaun Everett, hanno registrato le canzoni dal suono più magniloquente e potente, come le magnifiche e trascinanti Time Escaping, Little Things, Blurred View e Simulation Storm.
Al Flying Cloud, lo studio casalingo di Sam Owens – musicista noto come Sam Evian- hanno registrato, anche con la collaborazione della compagna di Owens, la bravissima Hannah Cohen, le canzoni più acustiche e familiari, quelle che riempiono il cuore e l’anima, quelle più nude e personali dell’album, come Certainty e 12.000 Lines, per poi spostarsi a registrare con Dom Monks sulla cima del Monte Colorado, dove sono nate le canzoni più mistiche e d’atmosfera, come la title-track e Change, brani nei quali si ritrovano le atmosfere presenti anche nel lavori solisti della Lenker.
In queste condizioni non stupisce trovare brani spiazzanti come Spud Infinity o Red Moon che sembrano arrivare direttamente dalla tradizione country, senza tuttavia suonare né ironici, né didascalici. I Big Thief avrebbe potuto in scioltezza concepire un album intero su queste sonorità e sarebbe stato comunque un album notevolissimo, ma hanno preferito confondere le acque, affiancando a suoni che sembrano arrivare dal passato ancestrale dell’America profonda, suoni che, invece, sembrano arrivare dal futuro, o, almeno da un’altrove molto distante dalle praterie del Midwest: brani come Heavy Bend o Blurred View (ma anche la strana filastrocca Wake Me Up To Drive, piena di ritmiche sghembe), sono pesantemente influenzati dalla musica elettronica, si direbbe quasi dalla folktronica di band quali Tunng o Four Tet. “One step closer and I’m real/Tell me everything you feel/And I will sing for you” sussurra Lenker, in un mare di oscurità.
Le radici jazz di Meek emergono, poi, prepotenti, in brani dall’arrangiamento articolato come la superba No Reason, mentre Lenker pennella ballate introspettive e strappacuore come la semplicissima eppure efficacissima Change, 12000 Lines, Promise Is A Pendulum e l’impenetrabile title track.
Naturalmente anche dal punto di vista dei testi, Lenker non si risparmia, continuando nelle sue esplorazioni della natura, che viaggiano sempre tra la semplice osservazione e l’interpretazione mistica, senza dimenticare le ferite dell’antropizzazione e l’insostenibile peso dell’amore. Stavolta, tuttavia, sembra che Adrianne sia intenzionata ad andare oltre ed espandere il proprio afflato poetico: il vento, le foglie, l’acqua, la vita e la morte convivono con osservazioni e momenti più prosaici, con passaggi ironici e trovate liriche astruse.
The Only Place, penultimo brano dell’album, che arriva dopo la convulsa Love Love Love, quasi alla fine di una lunga cavalcata appagante e -inevitabilmente, visto le emozioni che convoglia e i sensi che coinvolge- sfiancante è una specie di oasi, un luogo di approdo per i quattro membri della band e per tutti coloro che li hanno seguiti fino a qui: il delicato e elaborato fingerpicking di Lenker è un balsamo su ogni ferita e dopo tanto dolore, tanti dubbi, tra perdita e distruzione, Adrianne ci dice che “The only place that matters/Is by your side“.
Così quando uno dei membri della band chiede alla fine di Blue Lightning, l’ultima canzone dell’album,a microfono ancora acceso, “What should we do now?” la risposta potrebbe essere difficile da trovare: il genio di Adrianne Lenker, che era già evidente nei quattro lavori precedenti con i Big Thief (e nei due album solisti della musicista dell’Indiana), è sbocciato definitivamente su questo ambizioso e monumentale doppio album che riesce a cucire insieme, senza mai perdere la propria intrinseca coerenza, le sue melodie intriganti e sfuggenti e le sue narrazioni tra l’astratto e il mistico con un suono che spazia dalla più classica Americana all’indie, dal folk acustico al country delle origini, inglobando senza apparente fatica le spinte più rock della band. Capita che un doppio album possa essere un’esperienza faticosa, per chi lo incide e per chi lo ascolta, ma i Big Thief hanno scongiurato questo rischio, sfornando un lavoro gremito di canzoni immediatamente accattivanti, che suonano leggere e aeree, ma, al contempo, profonde e indimenticabili e che rappresentano la vera essenza di una band al culmine del proprio percorso artistico. Cosa potrebbero fare ancora?
Probabilmente stupirci e farci innamorare nuovamente. Al prossimo album.
Pingback: Ibisco – Nowhere Emilia | Indie Sunset in Rome
Pingback: CMAT – If My Wife New I’d Be Dead | Indie Sunset in Rome
Pingback: Indigo Sparke – Hysteria | Indie Sunset in Rome
Pingback: Le firme di TRISTE©: la Top 10 2022 di Giulio Tomasi. | Indie Sunset in Rome
Pingback: Le firme di TRISTE©: il 2022 di Tiziano Casola | Indie Sunset in Rome
Pingback: Le firme di TRISTE©: il 2022 di Peppe Trotta | Indie Sunset in Rome
Pingback: Le firme di TRISTE©: Francesco Amoroso racconta il (suo) 2022 | Indie Sunset in Rome
Pingback: Scree – Jasmine On A Night In July | Indie Sunset in Rome
Pingback: Lucinda Chua – YIAN | Indie Sunset in Rome
Pingback: Westerman – An Inbuilt Fault | Indie Sunset in Rome