Ben Seretan – Youth Pastoral

Vieri Giuliano Santucci per TRISTE©

Sono un po’ in ritardo.

Ma tanto, cosa conta? Esiste ancora il tempo?

In questa enorme parentesi spazio-temporale ogni cosa è dilatata e capire che giorno è oggi, cosa è successo ieri e cosa sarà (ci sarà) il domani, è estremamente difficile. Devo dire che il lavoro mi ha salvato, riempiendomi le giornate e la testa e dandomi una prospettiva a medio-lungo termine difficile altrimenti da immaginare.

Però le scadenze, le date, gli anniversari, i compleanni (sì anche quelli) sono diventati fumosi, poco chiari. Quello che andava assolutamente fatto, ancora più di prima, è stato un po’ rimandato. A data da destinarsi. Alla prossima “fase”.

E anche la musica ha seguito questo corso. Le nuove uscite sono diminuite, e quelle di inizio anno si sono come estese su tutti questi mesi di attesa. È così che “scopro” che il nuovo disco di Ben Seretan che ascolto ormai da settimane è uscito il 28 Febbraio. Quando ancora eravamo nel mondo “prima del”, almeno qui a Roma.

Terzo album cantautore newyorkese (la cui discografia è comunque ben più ampia e variagata rispetto ai 3 LP), Youth Pastoral sembra davvero arrivare da un passato indefinito. O da un presente perenne. Lasciate un po’ in disparte (anche se non del tutto) le esplosioni chitarristiche del primo album e più vicino alle sonorità intimiste del secondo lavoro, Seretan si tuffa con tutta la sua sensibilità nel tema della spiritualità.

Un album riflessivo in cui si racconta dell’allontanamento dalla religione ma anche di una ritrovata spiritualità, forse più terrena ma anche più consapevole. “Everything’s gonna be alright/You shine a little light for me” canta nella bellissima Holding Up The Sun (che un po’ richiama quella The Confused Sound Of Blood In A Shining Person che mi fece innamorare di lui). E se l’invocazione è un urlo, un grido o una speranza non è dato sapere.

La voce di Seretan come sempre guida lo sviluppo dei pezzi e il loro carico emotivo: se in canzoni come Power Zone l’atmosfera è rarefatta e sognante, Straight Line riesce a graffiare l’anima di chi ascolta, mentre nelle conclusive e più scarne Endless Bounty e Bowing Cypress è come se Ben si sedesse vicino a noi per farci una confessione privata.

La romanticizzazione della quarantena e la retorica del “trovare del tempo per noi stessi” sono clichè in cui è facile cadere. Ma sicuramente per molti in questo tempo (o meglio, questo non-tempo) c’è stato anche il modo di capire qualcosa di sè stessi. E di accettarlo.

Ben Seretan lo ha fatto in questo suo nuovo album: lasciamocelo raccontare.

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