Francesco Giordani per TRISTE©
L’anno musicale volge inesorabilmente al suo autunno, il che, per un album così crepuscolare come Aleph, è un gran bene. Difficilmente i mesi che ci attendono potranno infatti avvolgersi in stoffe musicali più pregiate di quelle che i Private World hanno quasi maniacalmente ricamato.
La band synth-pop guidata dai raffinati esteti gallesi (di Cardiff) Tom Sanders e Harry Jowett, ha dipinto un album dal fascino sottile, sofisticato e malinconico, che va ad occupare, nella mente bislacca di chi scrive, il quarto vertice di un ideale quadrilatero sonoro che poggia i restanti piedi sugli esordi di Nation of Language e Westerman (recuperate il suo notevole Your Hero Is Not Dead) e sul bellissimo Gathering Swans dei Choir Boy, da noi già lungamente elogiato.
Progetti che peraltro, vuoi per l’anno maledettamente bisestile vuoi per una sempre più irreversibile disaffezione/distrazione del pubblico “alternativo”, hanno raccolto davvero troppo poco rispetto alla qualità (ingente) messa in campo.




