
Francesco Amoroso per TRISTE©
Si dice che l’età non sia solo una questione anagrafica.
Eppure, a giudicare da come mi sento quando mi alzo la mattina, forse l’assunto è falso.
Tuttavia l’entusiasmo che provo ogni volta che scopro una nuova band, posso assicurare, è esattamente lo stesso che provavo qualche decennio fa, quando alzarsi dal letto la mattina era ancora … un gioco da ragazzi.
Nei primi giorni del lockdown (riusciremo mai a scrivere nuovamente una recensione senza nominarlo?) mi sono dato all’ascolto compulsivo di novità e, grazie alla mia sottoscrizione con la magnifica etichetta scozzese Last Night From Glasgow che, periodicamente, oltre alle sue ultime uscite discografiche su cd o vinile, invia anche singoli brani di artisti del proprio roster, ho ascoltato per la prima volta Mt. Doubt.
Il brano era “Headless”, una ballata rock piuttosto classica, ben strutturata e altrettanto ben cantata, con una produzione pulita e di grande atmosfera. Un bel brano davvero, che mi ha convinto ma non coinvolto.
O, almeno, questa è stata la mia impressione dopo un paio di ascolti.
Con il passare del tempo, però, “Headless” ha cominciato a risuonare dentro di me sempre di più e ne ho a poco a poco colto le sfumature, apprezzato gli arrangiamenti misuratissimi e il sorprendente inserto di sassofono, mi sono fatto ammaliare dal cantato profondo e coinvolgente e dal testo, che ha a che fare con l’ansia, la tristezza, gli errori e i passi falsi, eppure non suona mai lamentoso o autoindulgente.
Per farla breve, me ne sono immancabilmente innamorato e lo stesso mi è successo con i due singoli successivi, usciti prima dell’estate: “Caravans On The Hill”, con il suo pianoforte, l’incredibile lavoro di chitarre e le sublimi armonie vocali, e “Dark Slopes Away”, una canzone più solare, con un drumming travolgente che, accompagnato dalle tastiere, riesce a rendere un racconto di vite piene di asfalto e grigiore in qualche modo gioioso e pieno di speranza.
A questo punto, mentre aspettavo l’uscita dell’album, mi sono anche documentato su Mt. Doubt, scoprendo che aveva già all’attivo due album e alcuni e.p. e che dietro questo nome si celava la proposta del cantautore di Edimburgo Leo Bargery, sebbene, da qualche tempo a questa parte, il progetto solista sia diventata una vera e propria band.
Ho anche scoperto che Leo, come era facile intuire dalla sua musica (“dimmi che musica fai e ti dirò chi sei” è una massima spesso valida…), è una persona affabile e disponibilissima e che la sua schiettezza e la sua genuina passione emergono dai suoi testi, dal suo modo di cantare, appassionato ma mai sopra le righe e dall’attenzione e dalla perizia che mette nelle sue composizioni.
Così, quando è uscito “Doubtlands” (che i membri di LNFG hanno potuto ascoltare in notevole anteprima) è stato inevitabile che diventasse uno dei miei ascolti fissi dell’estate.
Come le canzoni che l’hanno anticipato, anche l’album (che contiene, oltre ai singoli, sette inediti), benché le sue sonorità possano sembrare immediate, è un lavoro sottile e profondo che richiede tempo e pazienza per essere goduto e apprezzato appieno.
Ogni brano si fa immediatamente apprezzare, ma cresce esponenzialmente, ascolto dopo ascolto, a partire dalla magnifica apertura “68th in Orbit”, un’ode all’indecisione e al senso di indeterminatezza, con arrangiamenti intricati e elegantissimi in bilico tra delicatezza acustica e cavalcata rock (“There’s a place out on the motorway, where the road becomes the Milky Way”), fino alla conclusiva cavalcata “Peaks Of Wreck”, viaggio fisico ed emotivo tra picchi e vallate in cui torna a farsi sentire uno splendido sassofono (suonato da Liam Dempsey dei Deep Sea Creature) e che si conclude con la domanda cruciale “Is it really worth the trouble?”.
E’ un’emozione farsi travolgere e coinvolgere, ogni volta di più, dal sottile lavoro delle chitarre e delle tastiere, dalla voce di Annie Booth (valentissima cantautrice del catalogo LNFG anche da solista) che regala profondità emotiva e ricercatezza, da una sezione ritmica inventiva e puntuale, dalla ricercatezza della produzione che consente a un album dal suono quasi classico di essere contemporaneo ed eccitante.
Difficile non innamorarsi perdutamente e non citare ogni canzone dell’album: “Yawn When I Do”, il cui drammatico intro di tastiere (dal suono vagamente seventies) lascia posto alla squisita interpretazione vocale di Leo che racconta con lucidità e rimpianto di relazioni sbagliate (“We’re set for storms of snowing/ She doesn’t yawn when I yawn./Lost somewhere South-Western/and already stolen./Suppose I don’t really know her/Yet she’s perched on my bed’s edge/She gave me her drugs/and I just gave up my head”), “Waiting Room”, malinconica elucubrazione che parte con il piano, cui si aggiungono, uno alla volta, la voce di Annie e gli altri strumenti, in un emozionante crescendo, “Murmurations”, breve ballata acustica, sobria e intensa, con le voci di Annie e Leo che, catturate da un microfono al centro di una stanza, stregano delicatamente l’ascoltatore.
E ancora “Stairwell Songs”, un brano di grande atmosfera che riesce, grazie al magnifico lavoro delle chitarre acustiche e delle tastiere, a suonare al contempo vibrante e intimo, o l’inquieta e vagamente sinistra “Eshaness”, con il suo ritmo oscuro e la chitarra piena di delay, che evoca la maestosa natura selvaggia del percorso in cima a una scogliera che porta al faro di Eshaness, nelle isole Shetland.
“Doubtlands” si rivela, così, nota dopo nota, ascolto dopo ascolto, come un album maturo, entusiasmante, in perfetto equilibrio tra stati d’animo opposti, tra disperazione e speranza, tra luce e tenebre.
Un’opera che ha la capacità di suonare già come un classico senza tempo.
Eppure, forse, per raccontarlo (e invogliarvi all’ascolto) mi sarebbe bastato dire quali sono i cinque album che Leo salverebbe da un incendio (vale, forse ancora più spesso, la massima “dimmi che musica ascolti e ti dirò chi sei”):
– Sparklehorse – It’s A Wonderful Life
– Sufjan Stevens – Carrie & Lowell
– Silver Jews – American Water
– The National – Boxer
– Nick Cave – Abattoir Blues
(grazie a God Is in The TV).
Pingback: Le firme di TRISTE©: Francesco Amoroso racconta il (suo) 2020 | Indie Sunset in Rome
Pingback: (Make Me a) TRISTE© Mixtape Episode 14: Mt. Doubt | Indie Sunset in Rome
Pingback: Le firme di TRISTE©: Francesco Amoroso racconta il (suo) 2021 | Indie Sunset in Rome
Pingback: (Make Me a) TRISTE© Mixtape Episode 69: Winter Moves | Indie Sunset in Rome