Mikal Cronin – MC III

Tarik è un pittore marocchino di Marrakech. Fa quadri coloratissimi che la mia ragazza adora ma che a me non piacciono per niente. Per carità, si vede benissimo che “ha la mano”, il tocco dolce. Le sue capacità di ritrarre fedelmente la realtà sono apprezzabili, un po’ meno i suoi commenti su Facebook in cui si lascia andare in elucubrazioni mentali fini a se stesse, senza capo ne coda.

Il punto è che avere le fondamenta, i mezzi, le qualità tecniche per poter realizzare qualcosa non ci rende automaticamente artisti. Così come scrivere su pitchfork non rende automaticamente autorevoli. Giusto?

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Mikal Cronin III è un album da analizzare da un punto di vista ampio. Successore di un capolavoro (MC II, ndr), si trova a dover fare i conti con un contesto decisamente diverso: Mikal non è più un musicista emergente, ma un punto di riferimento per un certo tipo di indie che qua e là viene messo in balia dei trend.

Fin dall’inizio ci si rende conto che si ha di fronte due idee ben diverse: da una parte il predecessore era una sorta di concept destinato ad essere “assunto in blocco”. Tensioni e dinamiche folk un po’ rumorose e sghembe che rivelavano melodie eccezionali. Era un po’ il disco del tipo con jeans rotti e le scarpe sporche; di quello che da un punto di vista marginale, cerca di estrapolare un senso al resto del mondo. MC III invece, è l’opera di un’artista che si trova adesso al centro del resto del mondo e si prende le responsabilità di tale posizione.

Lo si capisce da I’ve Been Loved, un pezzo scarno, semplice che punta all’essenza della propria arte: ” ..and I know there’s peace inside the other place, maybe there we can stay”. E gli archi aiutano, in questo caso come in altri, ad aggiungere quell’aria solenne e romantica che questo disco merita. Un po’ come passare dall’adolescenza alla maturità e farlo consapevolmente.

Le canzoni infatti sono storie separate: quella in cui ci si ritrova a combattere soli (Alone), e in cui le melodie acquistano rumore in una sorta di progressione tenace. Può essere oro quel che luccica, così come splende la ritmica di Gold; mentre l’incipit di Control, mi ricorda un po’ le melodie di Jerry Garcia che adoro tanto.

L’album vive di contraddizioni interne, un po’ come le migliori canzoni di EELS, lascia un sapore dolce e amaro al tempo stesso. Ci sono però pezzi più lineari, leggeri se volete, come Made My Mind Up, Ready, Say, ma come al solito il meglio viene fuori quando le contraddizioni si fanno più evidenti, come nel caso di Circle, la canzone che conclude il disco e forse anche il concetto di cosa voglia dire trovarsi al centro del mondo: “please be all around me”.

MC III è quindi il risultato di un processo che questa volta, ha portato Mikal ad usare tutta la tavolozza dei colori a propria disposizione; qualcuno potrebbe averla scambiata per mancanza di coesione, erroneamente. Ma è bello constatare che in questo caso, diversamente da Tarik e i quadri che mi ritrovo in salotto, fare opere d’arte colorate, rende tutto più bello.

 

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