Villagers – The Art Of Pretending To Swim

Francesco Giordani per TRISTE©

Ho sempre considerato il dublinese Conor O’Brien autore di superiore classe ed eleganza. Una “firma” che sa distinguersi e altrettanto facilmente imporsi già al primo accordo.

E questo sin dai tempi del francamente memorabile esordio Becoming A Jackal, felicissimo quanto imprevedibile ibrido di folk e pop orchestrale, capace di combinare Paddy McAloon, Elliot Smith, Sufjan Stevens e Andrew Bird in una scrittura di forza e sottigliezza davvero rare.

Da allora – era il 2010 – di acqua sotto i ponti per l’Irlandese ne è passata: altri due dischi, peraltro molto diversi (bellissimo quanto forse sottovaluto, a parer di chi scrive, Darling Arithmetic del 2013, di cui vi avevamo parlato), un album live, ripetute candidature al Mercury Prize sempre perso per un soffio, tantissimi concerti, finalmente la vittoria di un meritato Ivor Novello appena due anni fa.

Dietro lo splendido titolo di questo suo nuovo lavoro discografico, O’Brien allinea nove composizione scritte, arrangiate e in buona parte anche suonate in quasi totale solitudine. Ma non siate troppo precipitosi nel prefigurarvi un album minimale o dimesso, tutt’altro. The Art Of Pretending To Swim è infatti un lavoro dominato, dalla prima all’ultima nota, dal raffinatissimo tocco melodico del Dublinese, dal suo talento naturale di scenografo sonoro e arrangiatore, abilissimo come pochi nello sfumare impressioni e atmosfere in un pastiche vibrante di delicato illusionismo.

The Art Of Pretending To Swim è d’altra parte anche un album di grande tensione mistica, che segue il cammino, tortuoso ma sempre ispirato, di un giovane uomo apertosi alla Rivelazione. “If I see a sign in the sky tonight / Nobody’s gonna tell me it’s a trick of the light / May never come but I’m willing to wait / What can I say? I’m a man of the faith”, canta infatti O’Brien nella maiuscola A Trick of the Light.

Parole che tracciano il perimetro di un album in più punti baciato dalla Grazia: è il caso, oltre alla già citata A Trick of the Light, della notevole Fool o dell’acidissima Real Go-Getter, per tacere poi di Ada, probabile apice della raccolta, un disegno di pura, fragilissima, Luce stupefatta, dedicato ad Ada Lovelace, la matematica britannica figlia di Lord Byron che oggi ricordiamo principalmente come geniale formulatrice del primo algoritmo espressamente pensato per un calcolatore nella storia umana.

A proposito di macchine, O’Brien ritrova peraltro un certo gusto per trattamenti elettronici, campionature e fondali sonori punteggiati di beats, come già avveniva nel 2012 nel più eclettico {Awayland}, quasi a voler stemperare, o più spesso sporcare, un dettato art-pop che, per quanto etereo e trascendente, si mantiene saldamente aggrappato al pulsare vivo dell’adesso in cui tutti ci troviamo immersi e confusi. Lo si nota soprattutto nell’esplosione jazz-cosmica della complessa Love Came With All It Brings (da sentire e risentire con attenzione) o nelle cadenze quasi r’n’b/soul di Long Time Waiting.

The Art Of Pretending To Swim conferma dunque l’estro e la straordinaria sensibilità dell’Irlandese, ascrivendo la sua sofisticata arte compositiva, in maniera pressoché definitiva, fra le testimonianze più originali di questi nostri anni, in ambito pop e non solo.

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