Squadra che vince non si cambia.
Quando un determinato assetto ti porta ad ottenere ottimi risultati è difficile staccarsene perché si presuppone che ad identica premessa possa corrispondere un ulteriore valido risultato. Ovviamente non sempre le cose vanno così e capita che meccanismi consolidati si inceppino e conducano verso approdi deludenti, a volte anche mestamente fallimentari.
Ciononostante l’assunto di partenza rimane valido e tentare è sempre una possibile via.
Nel caso di Distance, Light & Sky le cose hanno funzionato. A quattro anni di distanza da Casting Nets che ne aveva suggellato il sodalizio (e di cui vi avevamo parlato su queste pagine), il trio formato da Chris Eckman, Chantal Acda e Eric Thielemans si ritrova nuovamente insieme per dare un seguito a quel riuscito esordio facendo di questo progetto qualcosa di più di un isolato episodio.
Il luogo in cui tutto assume la sua forma definitiva è ancora una volta lo studio di registrazione di Phill Brown, questa volta usato come vero e proprio ambiente risonante attivo la cui eco diventa elemento costitutivo di un disco registrato quasi interamente in presa diretta.
A scaturire da questa nuova sessione condivisa è un album di accattivante folk i cui elementi continuano a derivare dalle differenti esperienze dei suoi autori, sempre combinati secondo traiettorie sfaccettate che trovano costante nell’estremo equilibrio tra le parti.
Con elegante assonanza la voce profonda e lievemente ruvida di Eckman si accosta e a tratti si intreccia al canto delicato della Acda, scorrendo fluido su malinconiche trame acustiche (The lifer, Don’t go dark on me) il cui tono confidenziale emerge prepotente quando l’enfatica interpretazione dell’artista olandese viene sostenuta quasi esclusivamente dal suono del piano confezionando l’apice emotivo del lavoro (Good luck with that).
Prezioso e imprescindibile è l’apporto delle percussioni di Thielemans, sia quando si mantiene ai margini conferendo flebili sfumature che imponendosi come marcata presenza che imprime maggiore vitalità (In circles, Slowed it to a stop).
Pur mantenendosi in parte eccessivamente fedele al suo predecessore, Gold Coast ha il merito di stabilire una raggiunta maggiore profondità in un legame artistico fecondo dal quale è lecito attendersi ulteriori convincenti sviluppi.
Pingback: Francesco Amoroso racconta il (suo) 2018 – Parte I | Indie Sunset in Rome