Steve Gunn – The Unseen in Between


Alberta Aureli per TRISTE©

I don’t like to put myself on this pedestal or anything like that.

C’è una foto piccola di Lansdowne, Pennsylvania dove Steve Gunn è nato.

Al centro della foto un fiumiciattolo circondato da Salici e Pioppi, fronde gialle colorate d’autunno. In fondo, a sinistra, il greto e i tralicci bassi.

Puoi immaginare a piacere la strada vicina e un ragazzo in bicicletta, stivali di gomma alta, un pub mezzo vuoto o un racconto di Carver intero.

Steve Gunn dice che crescere a Philadelphia è stato come crescere con una grande nuvola sopra la testa, si ricorda di sé come di un adolescente compiacente che andava al bar tutte le sere, uno che ascoltava della musica incredibile senza suonarla, incapace di muoversi e viaggiare, a cui l’esperienza, per qualche motivo, era preclusa.

Ha dovuto aspettare di trasferirsi a NY per prendersi la musica, la capacità di agire e il movimento. Ma se gli chiedono di tornare indietro, all’adolescenza, si ricorda anche delle partite degli Eagles – una serie di sconfitte quasi comiche – si ricorda che a vedere le partite ci andava col padre e con un gruppo di amici del padre che definisce piuttosto selvaggi. È stato divertente, aggiunge.

Nel nuovo disco, The Unseen in Beetween, scritto a tre anni di distanza dall’ultimo Eyes on the Lines, ci mette dentro la sua storia e la storia del padre, che muore proprio nel 2016. La malattia terminale di lui gli dà l’occasione per conoscerlo meglio e per aggiungere, a quello che già sapeva, la parte che non aveva mai veramente messo a fuoco. Come fotografare qualcuno, prima di dirgli addio.

Nei versi di Stonehurst Cowboy ci sono i riferimenti più espliciti alla vita del padre, le difficoltà intime e storiche di elaborare il trauma della guerra in Vietnam: “Back then friends, brothers and me, all got sent away/ Came back feeling so undone, without much to say/ Sat for hours, stared at your flowers, found ways to hide the pain…”

Parlando della sua musica però, dice anche che non gli interessa raccontare di sé stesso e basta, gli interessa invece recuperare un rapporto di interazione col mondo più spirituale e olistico. C’è bisogno di partecipazione.

Come si fa ad essere intimi e autobiografici ma non autoreferenziali? Come si fa a condividere un’esperienza per stabilire un contatto e non per dimostrare qualcosa? È questo che The Unsenn in Between sembra voler risolvere.

La musica oggi può essere superficiale ed egoista, gli artisti vivono da privilegiati ma poi finiscono per cantare dei loro sentimenti difficili o di quanto sia sfortunata la loro vita. Non posso pensare di essere come uno di loro – dice Steve Gunn. C’è molto di più che puoi offrire alle persone nelle canzoni. Mi piace l’idea di fare un regalo… anche se sono storie che apparentemente non riguardano chi le ascolta.

Nessun piedistallo dunque. Un disco che somiglia a un diario. Un diario che si serve di tanta poesia e che usa il tempo per costruire una storia.

La storia inizia con New Moon e nei primi versi ci racconta di un baluginio improvviso, trascinati dritti oltre il tempo, dietro ai muri, attraverso gli specchi, in un posto che nessuno sembra conoscere. Passa per Vagabond, Tu sei un Vagabondo, la tua borsa è pronta e tu vai avanti e arriva a Luciano, un personaggio accennato, come puoi accennare al ricordo di qualcuno che hai conosciuto in viaggio, difficile da definire anche quando non riesci a dimenticarlo. Ci sono cose che puoi scambiare per insegnamenti ma che forse sono più uno sguardo complice in queste tracce.

È tempo di avere tempo anche per l’incertezza. Costruisce The Lightning Field sull’opera di Walter De Maria, l’installazione di quaranta paletti di metallo nel deserto del New Mexico. Era il 1977, i paletti come parafulmini sono studiati e disposti per generare (durante le piogge) un incredibile spettacolo di luce. Spesso però i fulmini non arrivano e lo spettacolo di luce manca. Un’opera di Land Art giocata sul senso dell’attesa, ma soprattutto sulla presenza e sull’esperienza diretta, qualcosa può accadere ma non è detto che accada.

Ha una borsa da viaggio chiusa bene a tracolla Steve Gunn, dentro ci sono molte idee su come dovrebbe essere una vita davvero vissuta. C’è una fotografia della sua famiglia, quella di un torrente di campagna vicino Philadelphia, una casa a Brooklyn in cui chiudere la porta e fare il primo passo fuori, per un viaggio lontano. C’è tutta la musica eccezionale che ascoltava quando non sapeva suonare, il folk e il rock, la scena alternativa e la musica rituale.

Ci sono i dischi di prima, quelli scritti da lui e quelli in cui suonava la chitarra e basta. Pensando sempre alle cose che si fanno insieme e non a quelle in cui siamo i protagonisti.

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