Francesco Giordani per TRISTE©
Non ricordo esattamente il giorno in cui imparai a nuotare. Mi sembra, in sostanza, di saperlo fare da sempre.
Eppure ricordo il giorno in cui pedalai per la prima volta senza le rotelline laterali di supporto oppure quando imparai a memoria la prima declinazione latina, così rosa e rotonda. Ricordo esattamente il mio primo giorno di lezione all’università (si parlava di Adorno e di Minima Moralia), il pomeriggio in cui lessi la mia prima poesia di Rimbaud o quando vidi per la prima volta un videoclip dei Blur su MTV.
Malgrado tutto questo, con mio sommo rammarico, non ricordo la mia prima nuotata. Il che è assai strano avendo io iniziato a frequentare le piscine abbastanza presto, durante le scuole elementari, e potendo peraltro vantare una fulminea (quanto, in tutta franchezza, dimenticabile) carriera di poco ispirato pallanuotista.
Il mio stile preferito è da sempre la rana, fluido e rassicurante. Il più odiato il dorso (cosa c’è di piacevole nell’andare all’indietro senza sapere cosa ci viene incontro?). Con un minimo investimento di fantasia riesco ancora a sentire l’odore del cloro, il bruciore negli occhi e la pressione dell’elastico degli occhialini sulla faccia. Ma anche quella stranissima, indimenticabile, sensazione, che per me non ha paragoni: sudare in acqua.
Mi ha dunque molto colpito che i Massimo Volume abbiano scelto come eroe eponimo del loro nuovo disco – il settimo in studio – proprio il Nuotatore. Un emblema, senza dubbio, anzi: un’allegoria mitica e letteraria (fin troppo celebre quello immaginato da John Cheever, che qui ritroviamo), universale almeno quanto il tuffatore di Pompei già cantato da Flavio Giurato. Sebbene, a ben guardare, rispetto a quest’ultimo, più orizzontale che verticale.
E in effetti Il Nuotatore è un disco dal suono acquatico, da percorrere “in lunghezza” oltre che in profondità, da esplorare con ampie e pazienti bracciate, armonizzando muscoli e respiro. Un disco nel quale immergersi in apnea, flutto dopo flutto, oppure, all’opposto, nel quale annegare anche senza navigare, come suggerisce la splendida Amica Prudenza, rimodulando una precisa idea di esperienza sensuale e conoscitiva del mondo che il filosofo Deleuze concettualizzò in un magistrale ciclo di lezioni su Spinoza e che Emidio Clementi inserisce tra le principali ispirazioni, non solo tematiche, del nuovo lavoro della band.
Ma la voce di Clementi, sostenuta dalle trame strumentali turbinanti di Vittoria Burattini ed Egle Sommacal, convoca anche altre figure. Talvolta illustri, come il Nietzsche passeggiatore irrequieto a Venezia della sublime Fred o il generale della Guardia Civile spagnola Josè Sanjurio, il cui beffardo destino è oggi pressoché dimenticato da tutti.
Fino all’apocalittica foto di gruppo (immaginate Chopin, Bela Lugosi, James Ellroy, Novalis, William Basinski e Von Masoch seduti attorno allo stesso tavolo) de L’Ultima Notte Del Mondo, classico mesmerico Massimo Volume sound, esaltante, allucinato, oracolare, scandaloso come la verità che annuncia con dizione ferma, quasi non umana: un mondo senza il Male non ha alcun significato né valore.
Ma tornano a galla detriti e immagini legate anche a ricordi ed incontri meno letterari: lo zio di Clementi che perse quasi tutto alle carte e che finì a lavorare per la ditta di acqua minerale che un tempo era sua o il coraggio di un anonimo poliziotto di Orlando durante un attentato ad un nightclub, vibrante contrappunto all’ammissione di disarmata paura di fronte ai propri desideri della bellissima Nostra Signora del Caso:
Beata Regina del caso
cercavo te la notte che sono sceso
dove non ero mai stato
a volte il mondo inganna
finge di proteggerti
per poi ucciderti
mentre sali le scale di casa
così ho fatto qualche passo
ti ho aspettato di fronte a una vetrina
prima di tornare indietro
appena ti ho visto spuntare da lontano
tu però non mi hai inseguito
e per questo oggi io ti maledico
Pingback: Francesco Amoroso racconta il (suo) 2019 | Indie Sunset in Rome