Michael Head & The Strands – The Magical World of the Strands

Francesco Amoroso per TRISTE©

Una delle cose più belle della Londra di fine anni novanta era la possibilità di entrare in un qualsiasi negozio di dischi (fosse Rough Trade, un lercio buco di usati a Soho o una delle grandi catene che letteralmente infestavano ogni angolo della città) e frugare tra i cd a basso prezzo, sperando di trovare qualche piccolo capolavoro dimenticato.

All’inizio della primavera del 1999, in quel di Londra, la mia principale occupazione nel tempo libero era proprio quella e, in una polverosa scatola di un sotterraneo di un non meglio precisato Tower Records, mi imbattei in un singolo di Michael Head And The Strands che si chiamava Something Like You (a 99p!). Fu, per me, una scoperta emozionante.

MichaelHeadMagari il nome di Michel Head all’epoca poteva dire poco ai più (a molti, suppongo, non dice nulla ancora adesso), ma io avevo mitizzato (grazie al suggerimento di un conoscente che poi si è fatto prete) i suoi Pale Fountains a metà degli anni ottanta e ero stato affascinato da Zilch, l’esordio del 1991, della sua successiva band, gli Shack.
Da allora, però, non avevo avuto più notizie.

Si potrebbero scrivere decine di pagine sulla storia di Mick Head e di suo fratello John, delle loro band sempre sull’orlo del successo planetario, della dipendenza da eroina del nostro eroe e della riscoperta tardiva (per fortuna non postuma, visto che Mick vive e lotta insieme a noi e ha anche una nuova splendida band) delle sue straordinarie capacità di songwriter.

Ma mi sento più a mio agio a passeggiare tra i vicoli della mia memoria che a scrivere biografie non autorizzate dei miei idoli. Così, per chiunque volesse farsi una cultura su Michael Head, la sua Liverpool, la passione per Arthur Lee e i Love, le droghe, i master di un album bruciati da un incendio e dimenticati in un’auto a noleggio, rimando alle informazioni che possono trovarsi in rete e a una bella recente intervista su Uncut. Il consiglio è di farlo. L’artista lo merita.

Per chi invece si accontentasse della musica (e dei miei ricordi), basterà sapere che il giorno dopo l’acquisto del singolo corsi a cercare l’album da cui quel singolo era tratto (uscito un paio di anni prima) e, in men che non si dica, entrai nel Magico Mondo degli Strands.

Il fatto che questo album sia divenuto la colonna sonora di quel periodo passato a Londra, che abbia caratterizzato un periodo emotivamente complicato, fatto di alti e bassi continui e di poco equilibrio, è solo uno dei tanti motivi per i quali continuo a considerare, a quasi vent’anni dalla sua uscita, The Magical World Of The Strands uno  dei migliori dischi realizzati negli anni novanta.

Non ci sono solo ragioni personali dietro questa passione: c’è anche la musica. Una musica di infinita dolcezza, che ha il potere di calmare la ferocia dei sentimenti che si dibattono nella tua anima, e che ti trasporterà in un mondo dove tutto è tranquillo e malinconico (e davvero strano).

The Magical World Of The Strands ha una sua personalità forte e definita, sin dalla copertina, non è una raccolta di canzoni scritte da un drogato pieno di talento e desideroso di avere il successo che, pur meritato, non arriva. Da queste canzoni, che sembrano scritte nella campagna inglese ma che parlano della vita urbana di Liverpool, traspare l’amore per i Velvet, per i Byrds, per Simon & Garfunkel e, naturalmente per i Love.

Se, come pare, Michael Head stava, all’epoca, combattendo la propria dipendenza da eroina, il loro suono dell’album è forse dovuto a quello che alcuni artisti (molto dotati e molto drogati) descrivono come la travolgente sensazione di bellezza e tranquillità che l’assunzione di eroina può a volte provocare (don’t try this at home, of course!).

Nessuna di queste canzoni, né la struggente Loaded Man, cantata da John (quasi una invocazione al fratello sempre più perduto), né le adorabili Queen Mathilda e Hocken’s Hey, né X Hits The Spot, una delle più dirette e travolgenti ballate sul consumo di eroina e sulle sue devastanti conseguenze pratiche, sono diventate hits, così come non è successo per i brani contenuti negli album che hanno provato a rilanciare il marchio Shack tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio (uno dei quali uscito sull’etichetta di Noel Gallagher). Ma non importa.

Quando Mick canta Something Like You, la seconda traccia del Magico Mondo degli Strands, tutto quello che c’è intorno (gli amori appena finiti e quelli appena cominciati, la lontananza, le droghe, la mancanza di riconoscimento) non conta più. È una delle canzoni d’amore più perfette mai incise.

Accompagnata da violini e violoncelli e da una chitarra acustica, la voce di Mick è come quella di un angelo caduto (e avvezzo a parecchi stravizi) che canta dell’amore per una persona, o per qualcosa, o, ancor più semplicemente, per l’Amore. È talmente bella da essere difficilmente sopportabile.

“I Believe in you … forever” canta Mick e se allora era facile provare struggimento per una lunga relazione appena conclusasi, adesso il suo significato può essere traslato su un piano più universale. Qualcuno (a me molto caro) diceva che la musica non può salvarti.

Michel Head, gli Strands e il loro Magico Mondo ti dicono il contrario: la musica ti salva, eccome. E io continuerò a crederci… per sempre.

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