Quante sono le cose che ci lasciamo indietro? Che dimentichiamo? Che non portiamo a compimento?
Nell’arco della nostra vita quanti sono i progetti che intraprendiamo con entusiasmo e che, poi, per mancanza di interesse o di tempo, per motivi contingenti o specifici, non saranno mai conclusi?
Personalmente ne potrei elencare decine, centinaia, forse.
Succede spesso anche con le amicizie: impieghiamo tempo ed energie per stringere rapporti stretti e coinvolgenti e poi, per un motivo o per l’altro, questi legami diventano via via più labili, fino a sbiadire e scomparire. Quanti fantasmi fluttuano nel vostro passato?
Immagino che sia stato anche un po’ per reagire a questa specie di ineluttabilità, allo scorrere del tempo che si lascia indietro tutto e tutti, che Matt Randall e Lee Hall, che aveva suonato insieme negli anni ’90 con i Beat Glider, siano ritornati, dopo tanti anni, a fare musica insieme.
Se il nome Matt Randall non vi dice nulla, allora andate a leggere un altro blog.
No! Scherzavo! Posso dirvelo io in due parole (ma promettetemi che andrete a recuperare al più presto questa clamorosa lacuna): Matt Randal (di professione giardiniere), prima in duo e poi come solista, è l’artefice di tre album a nome Plantman, Closer to the Snow, Whispering Trees e To The Lighthouse, lodati da molti ma, soprattutto, tra le cose più autentiche e emotivamente coinvolgenti che può capitarvi di ascoltare nell’ultimo decennio.
Ritornati a lavorare insieme, Randall e Hall, affiancati da Roy Thirlwall al basso (un altro straordinario autore, piuttosto incompreso con i suoi Melodie Group, di cui sarebbe bello tornare a parlare diffusamente presto) e Leighton Jennings alla batteria (Dark Globes), hanno deciso di chiamarsi, in maniera appropriata, Ghost Music e pubblicheranno il loro album di debutto, dall’evocativo titolo I Was Hoping You Pass By Here, il 19 gennaio.
Le loro canzoni, delicate, quasi ipnotiche, fatte di chitarre gentili, melodie morbide e voci sussurrate, nell’idea iniziale sarebbero dovute essere “fantasmi” del passato : Lee aveva trovato l’inizio di Home Dog su un vecchio e polveroso registratore a quattro piste e aveva registrato Strange Love sul suo iPhone nel 2014, mentre Matt aveva scritto My Cloud nel 1997 (la notte in cui si era trasferito della casa dei suoi genitori). Il ritrovarsi insieme, però, ha fatto scattare in loro l’impulso di scrivere nuovi brani.
Il risultato finale è un album struggente e bellissimo, estremamente nostalgico e intriso di spleen, nel quale le influenze sono palesi: i rimandi ai Pavement più pop e rilassati (Home Dog), ai Galaxie 500 (Blindspot, ma il suono della chitarra di Hall vi rimanda continuamente), agli Yo La Tengo (Heart Shaped Holiday), ma anche ai Velvet Underground (o ai loro nipotini Jesus & Mary Chain, in Gurl In A Whirl) rendono il suono di Ghost Music immediatamente familiare.
Tuttavia, ben lungi dall’essere un’operazione biecamente passatista, l’album di Randall e Hall è un lavoro vivo e pulsante, dettato da una inspirazione genuina e dall’urgenza di condividere sensazioni, stati d’animo ed emozioni intense come la malinconia o la dolcezza del ricordo.
Riprendere un vecchio progetto abbandonato e dargli finalmente una forma definitiva. Farlo insieme a qualche vecchio amico, qualcuno che, magari, lentamente dal centro del nostro cuore è scivolato in un angolino recondito e buio.
Matt Randall e Lee Hall l’hanno fatto e, a giudicare dai risultati ottenuti dai due musicisti di Southend, sarebbe il caso che ci impegnassimo a fare lo stesso anche noi, prima o poi.
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