Peppe Trotta per TRISTE©
Esistono flussi creativi di rara intensità destinati a rimanere ignoti, celati sotto uno strato spesso e inviolabile che li contiene e argina senza farli mai affiorare. Ma a volte questo vitale magma riesce a raggiungere un varco, a scavare una breccia continuando a incidere con lenta e determinata costanza la superficie che lo imprigiona. E quando ciò accade il suo scorrere diventa palese ed inarrestabile.
Nella profondità dell’animo di Keeley Forsyth è stata la musica ad essere coltivata e trattenuta per anni, almeno fin quando all’inizio di questo strano anno non è riuscita a cristallizzarsi in un’opera prima di struggente intensità, che traduceva in parole e suono gli echi di un lungo frangente di oscura sofferenza interiore.
A quel brillante capitolo d’esordio si aggiunge adesso, a neanche un anno di distanza, un nuovo conciso tassello che attraverso i suoi quattro tracciati prosegue ed espande l’itinerario narrativo avviato.
Ad essere indiscusso centro attorno cui tutto ruota è sempre la poliedrica capacità interpretativa dell’artista inglese, la sua voce ammaliante e cangiante, in bilico tra vibrante canto e teatrale declamazione, spinta in “Glass” a divenire enfatico spoken-word che rimanda alle più recenti pagine del Re Inchiostro. Diverso è invece, almeno in parte, il substrato sonoro su cui si muove, qui spogliato dai raffinati quanto misurati arrangiamenti che davano definizione alle canzoni di “Debris”, a favore di un’estrema essenzialità tratteggiata da vaporose frequenze sintetiche e, nel caso di “Unravelling”, da scarne stille pianistiche.
Intatte permangono le dense ombre e l’intimismo profondo da cui le taglienti confessioni delle Forsyth si irradiano, rendendo “Photograph” un’appendice preziosa di un debutto brillante, di cui questi nuovi brani potevano a pieno titolo essere parte integrante.
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