Francesco Amoroso per TRISTE©
Con la solita inevitabile sfasatura temporale, dovuta alla necessità di mandare in stampa le riviste “cartacee”, qualche tempo fa, nell’affrontate il nuovo album dei Black Country, New Road, mi chiedevo se fosse possibile avere tra le mani (si fa per dire…) il disco del 2022 già ai primi di gennaio.
La domanda mi sembrava tutt’altro che oziosa visto il valore e il peso delle dieci canzoni che compongono Ants From Up There, il secondo album della band, giunto a un anno esatto dal fortunatissimo esordio For The First Time.
Eppure, alla luce di quanto è accaduto solo una settimana prima dell’uscita dell’album, non è facile ascoltare queste canzoni con la stessa attitudine con la quale le ho ascoltate fino a a qualche giorno fa.
La defezione (temporanea o definitiva non è dato di saperlo) del cantante, compositore e chitarrista Isaac Wood mette in discussione l’esistenza stessa del collettivo e costringe, inevitabilmente, ad avvicinarsi alla sua musica con un atteggiamento meno distaccato (sempre che un minimo di distacco mi fosse possibile prima, trattandosi di musica dall’alto tasso di emotività).
“Hello everyone, I have bad news which is that I have been feeling sad and afraid too. And I have tried to make this not true, but it’s the kind of sad and afraid feeling that makes it hard to play guitar and sing at the same time. Together we have been writing songs and then performing them, which at times has been an incredible doing, but more now everything happens that I am feeling not so great and it means for now I won’t be a member of the group anymore. To be clear: this is completely in spite of six of the greatest people I know, who were and are wonderful in a sparklingly way. If you are reading this you may have seen some of that. It has been a great pleasure and I would like to say the word “Thank you” to everyone“
Questo è il breve, quasi laconico, annuncio con il quale Isaac ha annunciato il suo allontanamento dalla band che, comunque, pur cancellando l’imminente tour, ha già annunciato che continuerà l’attività musicale.
Cosa ci sia dietro non è esplicitamente detto, ma sembra evidente che le inquietudini di Woods, già evidenti nella sua musica e nei suoi testi, abbiano preso il sopravvento e che, per l’ennesima volta, ci si trovi di fronte a un artista talentuosissimo ma fragile e tormentato.
Difficile, dopo questa notizia, riascoltare l’album e non provare a trovare nella sua musica e nelle sue parole indizi di una condizione mentale di prostrazione, di un disagio che è deflagrato in maniera così potente e repentina da non poter attendere neanche la pubblicazione ufficiale.
La band sembrava lanciatissima verso il successo e probabilmente, pur volendo evitare di fare psicologia d’accatto, questo è stato uno dei fattori scatenanti del disagio manifestato da Woods. Con un album di debutto salutato come un capolavoro d’avanguardia, audace e brillante, che sarebbe stato difficile superare, il settetto inglese ha certamente affrontato la composizione delle nuove canzoni con una certa pressione, eppure con Ants From Up There i Black Country, New Road sono riusciti a mantenere lo stesso livello di creatività e a fare passi da gigante dal punto di vista della composizione (a quale prezzo forse lo capiamo solo adesso).
Se con For The First Time avevano fuso klezmer, post-rock, math rock, folk e varie suggestioni indie, in un amalgama sonoro intenso e entusiasmante, con Ants From Up There la band inglese ha aggiunto a una miscela che già li rendeva unici e distinguibili una buona dose di melodia, sfumature jazz ancora più marcate e magnifiche sottigliezze negli arrangiamenti.
Avrei detto che Woods e soci erano riusciti a fare un po’ d’ordine nel caos sonoro e nell’impeto che caratterizzava i brani dell’esordio, ma la lettura diventa più difficile adesso.
L’immensa crescita nelle composizioni e negli arrangiamenti della band, tuttavia, è innegabile e, quindi, si potrebbe giungere al compromesso di affermare che Isaac Woods abbia dovuto in qualche modo imbrigliare, per il bene della band, il proprio estro, incanalarlo verso soluzioni sonore comunque originali e entusiasmanti, ma decisamente più elegantemente organizzate e abbia poi pagato il prezzo di questa forzata disciplina.
Non saprei dirlo altrimenti, perché, già ai primi ascolti (e nonostante quanto si sostenga da più parti) a me è sembrato che Ants From Up There fosse un disco certamente più “maturo” dell’esordio, riuscendone sì a mantenerne la freschezza e l’ispirazione, ma aggiungendo struttura e raffinatezza melodica, in modo da rendere le sue composizioni più compiute e emotivamente coinvolgenti.
Otto canzoni (e due strumentali: l’Intro di ottoni e archi dai profumi marcatamente balcanici, e la delicatissima carezza jazzata di Mark’s Theme) che risultano sempre coerenti e che passano più volte dalla quiete alla tempesta, dalla complessità alla melodia in poche battute.
Le canzoni fluiscono e rifluiscono e esplodono in un’intensa poesia con la voce unica di Wood che appare allo stesso tempo ansiosa e sicura di sé (e spero non si tratti di un retropensiero).
Seguendo gli stilemi più classici del post rock, ma affrancandosene definitivamente grazie ad arrangiamenti misuratissimi e a un songwriting ispirato e emotivo che permette all’eclettica band del Cambridgeshire di materializzare non solo sonorità convincenti e eccitanti, ma vere e proprie canzoni straordinarie quali Chaos Space Marine (forse il brano che più si avvicina a quella che una volta si sarebbe definita “forma canzone” e che ha tutti i crismi per diventare classico della musica indie, qualsiasi cosa questo voglia dire), Concorde o Halden, ma anche suites travolgenti quali Snow Globes o la lunghissima Basketball Shoes, i Black Country, New Road affermano definitivamente la loro unicità.
Il gioco dei rimandi, delle influenze, il tentativo di scovare in ogni passaggio un riferimento più o meno esplicito ai numi tutelari del post rock (ma anche di certo prog più oscuro e meno pacchiano) diventa davvero ozioso quando ci si trova di fronte a composizioni di tale forza prorompente.
E’ Bread Song, il brano più pacato e tormentato dell’album, a racchiudere in sé gran parte della poetica dell’album: si analizza una relazione romantica piena di tensione con un tumulto mentale che risulta particolarmente evidente (e, in questo caso, non saprei dire se contribuisce a questa sensazione la suggestione dovuta alle recenti novità).
Anche in Snow Globes, che parte con una chitarra delicata e un’incantevole sezione di archi e cresce lentamente, la voce profonda di Wood, quasi rassicurante all’inizio, diventa più intensa e inquieta con il dipanarsi del brano, tra batterie intricate e archi incalzanti, e quando l’intensità diminuisce, ci si trova smarriti, come dopo aver assistito a un improvviso e inaspettato attacco di panico.
In chiusura, i tredici minuti di Basketball Shoes, sintetizzano mirabilmente le sonorità dell’album e scorrono via così fluidamente da non far affatto pesare la lunghezza del brano. Merito, ancora una volta, della perizia con la quale sono sapientemente strutturati i brani di Ants From Up There e dell’eclettismo strumentale della band che evita il caos cacofonico, propendendo per una complessità organizzata.
Ants From Up There è, così, un lavoro in indiscutibile continuità con il predecessore, ma, al contempo, un netto passo in avanti rispetto a quel pur notevole esordio. Come For The First Time, infatti, anche questo lavoro vede la band dare libero sfogo alla propria creatività, ma con maggior costrutto e disciplina, privilegiando il lato più emotivo e tumultuoso ma più tenero, con melodie nelle quali la scintillante strumentazione del settetto vola in un turbine di suoni spesso elegiaci, quasi estatici.
Se Ants Form Un There riuscirà a resistere al tempo e sarà considerato uno dei dischi del 2022, a questo punto poco importa. Mi auguro (per il suo bene, principalmente, ma anche per il nostro di ascoltatori) soltanto che Wood riesca a superare la sua situazione attuale e torni a fare ciò che ama di più, sperando che si tratti di un ritorno a Black Country, New Road o anche di un nuovo progetto musicale. Sarebbe davvero un peccato che il suo notevole e peculiare talento e la sua spiccata sensibilità andassero perduti.
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