
Francesco Giordani per TRISTE©
L’infausta notizia della morte del grande, grandissimo Tom Verlaine (a così pochi giorni peraltro da quelle, non meno impreviste, di Jeff Beck e David Crosby…) mi ha costretto a tornare a riflettere su una delle categorie tassonomiche più sfumate, a tratti francamente indecifrabili, del contemporaneo bestiario musicale: post-punk. Cosa designa, esattamente? E quel che designa, stricto sensu, è veramente lo stesso oggetto musicale a cui ci si riferisce quando oggi si sceglie di appellare una nuova canzone o la band che la intona “post-punk”?
Lungi da me indicare una risposta plausibile -la bibliografia critica sull’argomento è del resto ottima e più che abbondante. Eppure, riascoltando integralmente Marquee Moon, come peraltro non facevo da anni, sono rimasto non poco sconcertato nell’espormi nuovamente a quel suo rigoglioso, torrenziale fiorire di riff e intrecci chitarristici quasi barocchi, pittorici, arborescenti (più vicini a Beck e Crosby di quanto si pensi, come notato da qualcuno), formidabile correlativo sonoro della scrittura automatica surrealista. Voglio dire, il disco fu licenziato dai Television nel 1977, l’anno del punk per antonomasia se ce ne fu uno, ma quasi tutto in esso è integralmente post-punk, nel senso precipuo di anti-punk; a cominciare dalla sua celebrazione del valore attivo della forma, della sua possibilità di seduzione, complessità, simbolismo, rappresentazione.
Credo che l’etichetta “post-punk”, seguendo il discorso, vesta bene anche The Murder Capital, forse più oggi che nel 2019, anno in cui esordirono. Pur con tutti i distinguo del caso, il percorso dei cinque Dublinesi richiama quello parallelo degli ex concittadini Fontaines D.C, soprattutto nel decisivo passaggio che da Dogrel condusse poi alla svolta di A Hero’s Death. A quasi quattro anni da un folgorante quanto assai ispido, umbratile esordio, anche nei Murder Capital pare essersi affacciata l’esigenza di ricondurre la furia lirica della giovinezza (tanto sincera, quanto inerme) ad una più sofistica arte dello storytelling, alla forma narrativa di un teatro-canzone che era del resto già implicito nella struttura latentemente concettuale di When I Have Fears.
Come già in A Hero’s Death avverto del resto anche in Gigi’s Recovery l’occulta quanto pervasiva influenza del più recente Nick Cave, assimilato e rifuso con altre patenti suggestioni, che vanno dai sempre troppo poco citati Iceage ai non meno sottovalutati Sound (altezza From The Lions Mouth), forse la più letteraria delle primitive band post-punk. L’elaborata drammaturgia dei passaggi strumentali, sempre al servizio della voce e delle parole di James McGovern, la propensione di quest’ultimo a solenni melodie che sconfinano nel monologo cantato/recitato, si fanno particolarmente magnetiche in brani come Ethel o A Thousand Lives. E se la perfetta Only Good Things si adagia su un canovaccio quasi strokesiano, in The Stars Will Leave Thier Stage l’afflato di versi metricamente sopraffini come “Just like ships in the night/ Promising to collide /Well, I’m casting myself aside/ And the shoreline alight/ Where the beaches divide/ I can see it outside on the shrines/ In the air” riaccende in me la memoria poetica di altri più aulici versi, quelli del supremo bardo irlandese Yeats, recentemente incontrati nel romanzo di Andrew O’Hagan Effimeri: “Once out of nature I shall never take/ My bodily form from any natural thing,/ But such a form as Grecian goldsmiths make/ Of hammered gold and gold enameling/ To keep a drowsy Emperor awake;/ Or set upon a golden bough to sing/ To lords and ladies of Byzantium/ Of what is past, or passing, or to come.”
Qualcuno disse una volta che “Il vero poeta deve sapere riunire una favola a un meccanismo formale, al movimento di un ingranaggio formale. E dei due elementi, che rischiano di scindersi, comunque il secondo è più importante: perché, comunque, non è nato gratuitamente, (…) è nato in funzione di quella favola.”
Ecco, credo che racconto e ricerca formale nei Murder Capital dialoghino in modo sempre più fluido, necessario e potenzialmente ricco di sviluppi futuri. Della loro poesia, rigorosamente post-punk, continueremo a sentir parlare.