Un po’ di tempo fa mi sono imbattuto (poco casualmente) in un servizio televisivo dedicato alla ricerca sull’intelligenza artificiale, ritrovandomi tra l’altro ad ascoltare una breve intervista ad un oscuro e TRISTE© personaggio barbuto che disquisiva sulle possibili conseguenze sulla nostra vita quotidiana.
Quasi immediatamente mi sono ritrovato a pensare a quanto la tecnologia abbia influito sulle nostre azioni negli ultimi decenni, a come ritroviamo l’ausilio delle macchine anche dove non ce lo aspetteremmo.
Viviamo in un’epoca pienamente ibrida e ciò che la creatività produce ne rispecchia l’andamento.
Risulta così totalmente nella norma trovarsi sempre più spesso ad ascoltare dischi che attraverso un processo di contaminazione acustica-sintetica tentano di ridisegnare gli schemi musicali consolidati.
In questo filone potremmo inserire a pieno titolo Hands in Our Names, lavoro di debutto della cantautrice americana Karima Walker pubblicato lo scorso anno come cassetta auto prodotta e che adesso esce per la Orindal in versione rivista e ridefinita.
È un caleidoscopico viaggio interiore, modulato attraverso una variabile combinazione di schegge melodiche e frequenze elettroniche, quello plasmato dalla musicista dell’Arizona, un percorso che a dispetto dell’ampio ventaglio di soluzioni che contiene si snoda coeso e unitario nel suo tono sommesso.
La voce flebile, spesso poco più che sussurrata di Karima scorre liquida quando emerge dalle trame sonore, sia che si tratti di essenziali armonie acustiche (Holy Blanket, Ky By Bo, Indigo) o intrecci più complessi nei quali droni, loop e field recordings si fondono in una lisergica sintesi ipnotica (What Is Left?, We’ve Been Here Before).
Crepitanti flussi di ruvide schegge rumorose (Bells, To Carry Heavy Things), stridenti persistenze in espansione (One Moved Slowly Through This Place) e scarne riprese ambientali (Singing City) sono incastrati lungo il racconto, non come semplici intermezzi ma come parte essenziale per costruire un microcosmo surreale nel quale far fluttuare libere sensazioni e ricordi.
L’intelligenza potrà anche divenire artificiale, ma al momento continuo a prediligere l’umana sfaccettata emotività.