Nel variopinto universo dell’indie internazionale, la classica configurazione voce/due chitarre/basso/batteria a volte tastiere rimane l’assetto principale e preponderante.
I Real Estate non fanno eccezione.
Ma con una differenza: sono tra le poche band che, sembra strano dirlo, fanno “cantare” i propri strumenti.Quando pensi ai Real Estate, ti immagini subito un tappeto di arpeggi che sprigionano melodie primaverili e catchy: insomma con i Real Estate in un certo senso splende sempre il sole, un sole forse malinconico.
Il nuovo album, In Mind, segue questo filone: il primo disco senza Matt Mondanile (che ha preferito concentrarsi sul suo progetto Ducktails, qui rimpiazzato da Julian Lynch alla chitarra) parte dal classico sound janglepop dei Real Estate per tentare un’evoluzione verso nuovi territori, fino ad ora mai esplorati dai cinque del New Jersey, anche per merito del produttore Cole M.G.N. (Beck, Snoop Dog ma anche Julia Holter).
Un’evoluzione comunque timida, ma in che futuro potrebbe ampliarsi.
Abbiamo quindi più canzoni dove suoni sintetici prendono il sopravvento sulle chitarre (l’opening Darling), o dove le chitarre si fanno più poderose (Two Arrows).
Ma tracce come After The Moon e Diamond Eyes ci ricordano il trademark dei Real Estate: dolcezza, speranza e un suono etereo ma non fragile.
Prima colonna sonora primaverile aggiudicata.
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