The Pains of Being Pure at Heart – The Echo of Pleasure

Francesco Giordani per TRISTE©

Pare incredibile eppure il tempo passa anche per i puri di cuore.

Soprattutto per i puri di cuore, vien da pensare. Se c’è stato infatti, negli ultimi dieci anni, un gruppo che più di ogni altro pareva destinato, quasi per statuto, a non invecchiare mai, beh quel gruppo erano i Pains of Being Pure At Heart di Kip Bernam.

Il quale, rimasto unico membro originario della band che esordì nel 2009 col magnifico omonimo (parabola del tutto analoga a quella della band gemella The Drums), è nel frattempo anche divenuto padre di una splendida bambina.

The Echo of Pleasure parla (anche) di questo ovviamente, sebbene le sue nove canzoni, a quanto pare, siano state tutte scritte e composte prima del lieto evento. Questo quarto album di Bernam è, per forza di cose, il suo più prepotentemente personale e, dunque, verrebbe da dire, anche il meno “estetizzante”.

Di sicuro il più rilassato. Un disco di motivi pop semplici e senza macchia. Un disco leggero, anzi leggerissimo, e sempre piacevolmente cantabile.

Intendiamoci subito. Non che i capitoli precedenti lo fossero meno – e del resto già lo scorso Days of Abandon aveva ridotto di molto riverberi ed asprezze Creation di ritorno – ma qui davvero ci troviamo di fronte ad un album di pacificato, a tratti quasi estatico, abbandono (si sentano The Garret, l’eponima The Echo Of Pleasure o When I Dance With You).

Tanta leggerezza tuttavia non deve ingannare: una più sottile consapevolezza degli affetti s’impone, un concetto del tutto nuovo di responsabilità, uno sguardo meno innocentemente “egocentrico” sulle persone e sulle cose del mondo.

Di questo canta Bernam oggi: di un ragazzo che, dopo aver per anni instancabilmente immaginato, sognato, metaforizzato, mitizzato, drammatizzato, la propria idea di giovinezza in un teatro di canzoni struggenti come poche altre, si trova adesso a fare i conti con una stagione completamente nuova dell’esistenza.

A sostenere e sostanziare il nuovo corso, canzoni che allentano un po’ la presa dalla fibrosa e letargica coperta di Linus degli amati gruppi Sarah/C86, per aprirsi ad un suono decisamente più rifinito, diurno, dai contorni netti e puliti (il singolo Anymore, The Cure of Death o So True, forse la migliore in scaletta).

Suono che, va detto, non sempre scalda come si vorrebbe e che, soprattutto alle orecchie di chi (come il sottoscritto) tanto amò gli esordi della band, pare spesso mancare di quel romanticismo febbrile e assolutizzante che, del resto, sarebbe ingiusto pretendere oggi dalla penna di Bernam.

Per ora, tutto quello che viene lasciato alla spalle prevale, in bellezza ed emozione, su quello che viene incontro. Restiamo tuttavia prontissimi ad essere smentiti da questo talentuoso autore, negli anni e nei dischi a venire.

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