Bad Sav – Bad Sav

Bad Sav

Francesco Amoroso per TRISTE©

Per quanto una persona non madrelingua possa essere ferrata con l’inglese, ci saranno inevitabilmente molte parole, sfumature, significati reconditi, che gli rimarranno oscuri e incomprensibili.

Il fatto che una parte del significato di quanto fruisco quotidianamente sia lost in translation è una realtà scomoda e fastidiosa della quale, ascoltando per lo più musica cantata in inglese (o in americano, australiano o neozelandese, per quanto come direbbe la Regina: “There is no such thing as ‘American English’. There is English. And there are mistakes.”), mi sono da tempo fatto una ragione.

Ciò non toglie, tuttavia, che, con un po’ di buona volontà, si possa provare a recuperare qualcosa di quei significati perduti soprattutto grazie alla tecnologia. Tra dizionari on line e raccolte di frasi gergali e slang, anche piuttosto di nicchia, alla fine mi rendo conto che le cose sono molto cambiate da quando, 30 anni fa circa, tentavo di tradurre i testi degli Smiths, vocabolario Garzanti alla mano.

In ogni caso né la tecnologia, né l’aiuto da parte di amici madrelingua, sono riusciti a chiarirmi il significato del nome dell’ultima band neozelandese di cui mi sono innamorato.
I Bad Sav sono un classico trio rock (basso, chitarra, batteria) proveniente da Dunedin, solo gli ultimi in ordine cronologico di una schiera di talenti purissimi provenienti dalla piccola cittadina che ha dato vita (e nome) al cosiddetto, appunto, dunedin sound. Formati dalla chitarrista/cantante Hope Robertson e dalla bassista/cantante Lucinda King (entrambe dei Death And The Maiden) e da Mike McLeod degli Shifting Sands alla batteria, hanno fatto da pochissimo uscire il loro album d’esordio, nonostante il progetto sia attivo sin dai tempi di MySpace (praticamente ere geologiche fa).

L’album, omonimo, uscito per la benemerita etichetta autoctona Fishrider (in collaborazione con gli amici inglesi della Occultation), è un lavoro chitarristico sfavillante e abbagliante che esplora con dieci brani, tesi e asciutti, il suono dell’indie rock degli anni ’90, tra riferimenti shoegaze, una bella dose di psichedelia, tanta energia e ritmi incalzanti. La peculiarità della band, però, risiede soprattutto nella capacità delle canzoni di risultare contemporaneamente malinconiche e arrabbiate, piene di desiderio ed eteree, melodiche e zeppe di ritornelli eppure potenti e trascinanti, sempre in bilico tra il sogno e l’incubo. La loro elettrizzante alchimia sonora, prodotta dall’accostamento di una voce inquieta ed evocativa con un chitarrismo a tratti feroce, ammantato di fuzz e distorsione, produce un ibrido che accomuna mirabilmente il dunedin sound e il post punk.

Canzoni come Hen’s Teeth, Buy Something New, Tv Theme Song sono (a dirla con le parole di Hope Robertson) “a missed punch and a grazed fist. Sad, heavy, unpredictable loud pop”. E se qualcuno avesse problemi a tradurre la suddetta frase… saremmo ritornati al punto di partenza.

Continuo a non sapere cosa Bad Sav voglia esattamente dire (anche se l’ipotesi più accreditata è che sav sia semplicemente l’abbreviazione di savage, molto utilizzato nello slang per definire qualcuno che ha grandi doti naturali e notevoli capacità nel portare a termine compiti molto difficili), continuo a perdermi nella traduzione una parte del significato di ciò che ascolto, ma per fortuna c’è la musica che, come nel caso dei neozelandesi, riesce a trasmettere sentimenti e sensazioni con un linguaggio universale che non ha bisogno di nessun filtro.
Dunedin rules (as usual).

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