Grand Drifter – Only Child

Francesco Amoroso per TRISTE©

It’s Ok To Cry.

A volte, ascoltando un album, ho la sensazione che, con un po’ di concentrazione, riuscirei a indovinare con una certa accuratezza la collezione di dischi del loro autore, purché, naturalmente, le canzoni e gli arrangiamenti rispecchino in maniera genuina e sincera l’animo di chi le ha scritte.

Se dovessi fare un esperimento del genere con artisti (?) mainstream e superprodotti, tutt’al più, potrei capire a quali fonti hanno deciso di attingere, quale genere o filone musicale vogliono seguire, ma dubito che comprenderei i loro personali gusti musicali, le canzoni che fanno battere il loro cuore.
Con un artista come Andrea Calvo, in arte Grand Drifter, invece, sono convinto che difficilmente potrei sbagliarmi.

Only Child, il secondo lavoro del musicista piemontese, a cui collaborano gli Yo Yo Mundi al completo (Andrea è, a sua volta, collaboratore di lunga data della band) e due membri degli ottimi Smile, è proprio quel tipo di album che permette di cogliere tutti i riferimenti musicali del suo autore. E questo non perché sia un lavoro derivativo o banale.
Al contrario. Le dieci canzoni che lo compongono sono sincere e originali e i mille rimandi che contengono sono stati perfettamente introiettati e rielaborati, con grande sensibilità melodica e con sonorità intime, sobrie ed eleganti fatte da ritmiche sincopate, favolosi e scintillanti riff di chitarra, preziose note di piano e una voce evocativa e malinconica.

Il fatto è che Only Child è, per così dire, un album trasparente: un’opera nella quale l’autore si mette a nudo senza cercare travestimenti, senza mai nascondersi dalla vista (Hidden From Your Sight, paradossalmente, è quasi un manifesto di questo atteggiamento: se Andrea non è un fan di Grant McLennan allora smetto di ascoltare musica!). Lo fa attraverso dieci composizioni fragili e schive, tenere e delicate che, tuttavia, non disdegnano affatto un lato inquieto e qualche suono più ruvido.

La collezione di dischi di Andrea non deve essere affatto così omogenea come potrebbe sembrare a un ascolto disattento: non c’è dubbio che il jangle pop sia presente in ogni composizione, ma la sua vena cantautorale (sarei pronto a scommettere sulla sua passione per Elliott Smith) è almeno altrettanto presente (e altrettanto efficace), così come i sofisticati arrangiamenti, che spesso presentano archi, lasciano pensare che il pop barocco di certi Beatles (The Big Without) non gli sia del tutto estraneo.
Grand Drifter, però, ha la grande capacità di raccogliere ognuna di queste suggestioni sonore e assemblarle con perizia e amore, per costruire fragranti melodie e squisite composizioni.
E, a rendere le cose ancora più eccitanti, ci si mettono dei particolari che, almeno alle mie orecchie (che, probabilmente, hanno condiviso molti ascolti con quelle di Andrea), suonano un po’ come una sorta di segnale segreto. Quel segnale che si scambiano coloro che condividono non solo le stesse passioni musicali, ma che, facendo riferimento a quelle, vogliono trasmettere – a coloro che tali segnali segreti riescono a captare – la loro visione del mondo, il loro atteggiamento verso la vita, per condividere un sentire comune, fatto di accettazione delle fragilità, di aperto sentimentalismo, di gentilezza e rispetto reciproco, di rifiuto della prepotenza e del cinismo imperante.

Per me questi segnali arrivano ogni volta che colgo riferimenti sonori più o meno espliciti al catalogo della Sarah Records: che sia la linea vocale di A Deal With The Rain che mi rimanda ai Blueboy (del resto Some Sort Of Secret Sign è un verso della loro Boys Don’t Matter) o le chitarre che caratterizzano Diary Of Sorts che mi ricordano, fino alla commozione, i Field Mice, sono questi piccoli sussulti, queste dolci e amare madeleine sonore che si susseguono durante tutto l’arco dell’album, a rendermi Only Child e il suo artefice Grand Drifter, così caro e affine.
Tuttavia la ricchezza sonora dell’album permetterà ad altre orecchie di cogliere altri riferimenti e anche in questo risiede il suo immenso valore.

Ci sono passaggi più introspettivi e malinconici, canzoni mid-tempo e momenti trascinanti, e in ogni situazione Andrea riesce a esaltare le sue doti vocali non comuni (non confondetevi: qui non si tratta di avere voce, come s’intende solitamente nel Bel Paese, ma di saperla usare con grande eleganza ed efficacia melodica).
E’ sorprendente come Andrea riesca a maneggiare il materiale sonoro di cui dispone senza mai perdere la rotta, riuscendo a risultare personale e sincero e mai un anonimo seguace di determinate sonorità. Che le sue canzoni siano tenere e sognanti, o più oscure e impetuose, il punto di forza di Grand Drifter è, senza dubbio, la sua capacità di scrittura e le sue melodie ariose e piene di luce, che rendono la nostalgia un fattore di guarigione.

Parlando dell’album Andrea ha dichiarato: “Ho spesso trovato ispirazione immaginando che le mie canzoni fossero prese da un disco inedito dimenticato e poi ritrovato”.
E il complimento più grande che si può fare al suo Only Child è che, ascoltandolo, si prova esattamente la stessa sensazione: quella sensazione accogliente e confortante che ti danno la canzoni che senti di conoscere da sempre, che sono così sedimentate dentro di te da sembrare quasi parte del tuo stesso DNA.
It’s Ok To Cry.

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