Francesco Amoroso per TRISTE©
“Lisa have you noticed me?
I am of the waves
I watch you roam the streets
a frown sketched on your face
chasing after days that melt behind“
Mi capita, a volte, nel tentativo (fallito in partenza) di raccontare, su queste pagine virtuali o su quelle fisiche di Rockerilla, di tutti gli artisti e gli album che più mi colpiscono e mi emozionano, di sentirmi sopraffatto. Sopraffatto dalla messe di uscite, dal tempo che manca per scrivere qualcosa di decente e coerente, dall’impossibilità di fermarmi, prendere fiato e approfondire, di fare davvero mio un disco. Mi perdo tante cose per strada. Ascolto troppe uscite e non riesco a volte a concentrarmi a dovere su quelle che mi trasmettono davvero qualcosa.
Mi sento sopraffatto dalla fretta e dai ritmi frenetici quando l’ascolto approfondito è un’attività che, al contrario, richiederebbe pazienza, concentrazione, introspezione.
E così mi capita che ciò che conta mi sfugga di mano, scivoli in un angolo recondito della memoria, si perda nei meandri dei miei ascolti, affrettati e urgenti. Ascolti che necessiterebbero un passo rallentato, un’assimilazione graduale e attenta. Finisco per ascoltare musica nello stesso modo in cui giro a Roma per lavoro: di fretta, con lo sguardo basso e le bellezze della città che mi scorrono davanti, inavvertite.
Parlando di uno dei brani del suo nuovo album, Dana Gavanski esprime, in maniera forse più chiara e diretta, la mia stessa preoccupazione: “We don’t realize we are surrounded by all this beauty; we’re shut up inside, rushing to get to work, buying books online without ever leaving home. It’s about focus, recognizing what’s in front of you.”
È quello che mi è capitato con When It Comes. Eppure Dana Gavanski è un’artista che seguo dai tempi dei suoi Spring Demos e il suo album di debutto, Yesterday Is Gone, è uno dei lavori che, in ambito cantautorale, ho più apprezzato negli ultimi anni.
Ma proprio come la bellezza del mare che Lisa, la protagonista dell’omonimo brano, non nota, troppo presa dal vivere la vita frettolosamente, When It Comes ha rischiato di passare quasi inosservato, nonostante la sua indubbia bellezza. Forse a causa di una produzione meno appariscente del suo predecessore, forse per un approccio più compassato o per l’assenza di canzoni immediate come One By One e Catch, questo tribolato seguito (“In many ways this record feels like it is my first”) mi è sembrato, ai primi superficiali ascolti, meno incisivo.
Ma, com si diceva, è nella lentezza che risiede il segreto della bellezza e, così, canzone dopo canzone, ascolto dopo ascolto, questo fiore notturno e tardivo si è pian piano schiuso davanti ai miei occhi (o, meglio, nelle mie orecchie) e mi ha mostrato tutto il suo schivo splendore.
Splendore che risiede, innanzitutto, in una voce unica e incredibilmente espressiva, uno strumento a sé che Dana pone sempre in primo piano nelle sue composizioni (“When I could use my voice, I had to focus so there is an urgency and greater emotional trajectory than before… it’s very connected to vocal presence, which extended into an existential questioning of my connection to music. It felt like a battle at times, which I frequently lost.”).
Quello che doveva essere l’album della conferma e, forse, della definitiva affermazione dell’artista serbo-canadese, però, è stato un classico difficult second album: non solo per la pandemia ma soprattutto per le conseguenze fisiche e non solo causate da un serio problema alle corde vocali.
Dana Gavanski ha rischiato di dover smettere di cantare e ha dovuto rimettere in discussione tutte le proprie certezze. Lo ha fatto “imbracciando” un Casiotone giocattolo e non dandosi mai per vinta.
Le sue composizioni su uno strumento alieno e non professionale, sono diventate, poi, grazie alla collaborazione con il partner e produttore James Howard, le nove canzoni che sono andate a comporre When It Comes.
Ciò che colpisce, dopo qualche ascolto più approfondito, è proprio la capacità di Gavanski di scrivere brani che seppure non diretti come quelli del suo esordio, sono eclettici e pieni di personalità, semplici eppure non banali, costruiti su tastiere, organi, synths, senza mai suonare men che organici e naturali.
Gavanski dimostra un’estrema padronanza della voce, il suo strumento principe, si diceva, con il quale può permettersi passaggi leggerissimi e fanciulleschi, quasi fatati, (I Kiss The Night), e momenti suggestivi e malinconici (Letting Go, Under the Sky).
Basta la sua voce a evocare memorie e emozioni, a permetterci di avere una visione della realtà leggermente sfasata, quasi fuori sincrono e, per tale motivo, più tollerabile.
E, contrariamente a quanto potrebbe sembrare rimanendo in superficie, anche gli arrangiamenti, pur senza le brillanti trovate e i trucchi di magia di Mike Lindsay (produttore dell’esordio e membro fondatore dei Tunng), sono vivaci e originali: basterà ascoltare The Day Unfolds, che si conclude con un esperimento di free jazz di un minuto e mezzo, completo dello struggente suono del sassofono e di glissando vocali che ne mostrano il lato più sperimentale, o il synth pop quasi clownesco di Indigo Highway, in bilico tra farsa e malinconia, che ricorda con gli intrecci tra synth e voce le sperimentazioni pop di Cate Le Bon.
La bellezza di When It Comes risiede tutta nella apparente semplicità con la quale Dana Gavanski riesce a comporre e interpretare brani che, in altre mani, potrebbero risultare ostici o astrusi: gli ammalianti tappeti di synth di Knowing To Trust, il ripetuto riff di chitarra di The Reaper, l’originale uso del clavicembalo in Bend Away & Fall, la gentile e trasognata psichedelia della già citata Under The Sky o lo spiazzante finale della affascinante Lisa, una sorta di jam session prolungata tra la band e la voce, dimostrano come, grazie alle amorevoli cure di Dana, la complessità, che si nasconde, spesso, dietro una facciata di apparente semplicità, risulti piacevolmente travolgente e infinitamente attraente.
Quando Snoopy prova ad insegnare agli uccellini nati sulla sua cuccia a volare, pur non sapendolo fare, dice loro: “Non fate come faccio. Fate come dico”.
Ecco, allora. Evitate i miei errori, prendetevi del tempo, rilassatevi, non affrettatevi e godetevi When It Comes come merita: con lentezza e attenzione.
Solo così lo potrete vedere brillare in tutta la sua lucente bellezza.
Pingback: Le firme di TRISTE©: Francesco Amoroso racconta il (suo) 2022 | Indie Sunset in Rome