Ci sono album che crescono nel tempo. L’anno scorso era successo così con gli Alt-J per me, un album che uscì a primavera 2012 ma di cui mi “accorsi” solo qualche mese più tardi. Probabilmente è la dimostrazione di quanto umorale sia recensire (recepire?) il contenuto di un album.
Valerie June, per dirla come Matteo Bordone (mi scuso, ma non riesco a trovare il link – in linea di massima era un commento sul fatto che la musica indie è senz’anima e triste principalmente perchè mancante della matrice blues-reggae-soul), non è indie. Ma è molto TRISTE©.
Pushin’ Against a Stone odora di strade polverose, di un film dalla fotografia calda, di terra arida. Ed è sensazionale scoprire che dietro al nome, si cela una faccia ed un look che sembrerebbero più appropriati ad un sound caraibico. Nell’album invece, oltre ad esserci un’anima nera (soul e blues a secchiate) piuttosto predominante, si riconosce un tocco southern-rock sapientemente introdotto dal bravo produttore Dan Auerbach (si, è quello dei Black Keys).
Se pezzi come Somebody To Love, Twined & Twisted, On My Way e la title track Pushin’ Against a Stone suonano come un prodotto completamente targato Valerie June, non si può di certo dire di non sentire un touch à la Black Keys in canzoni come Workin’ Woman Blues e soprattutto You Can’t Be Told.
Forse Matteo Bordone aveva ragione, alla musica Indie manca l’anima nera per essere meno triste, e Valerie June ne è l’esempio più lampante – un po’ come gli Alabama Shakes – dato che riesce a riconoscersi subito tra le tante release di questi giorni e ci regala un’oretta di musica che va dritta a cuore e gambe. Poi però penso ai Joy Division, ai National, agli Alt-J e capisco che alla fine, esseri TRISTE© non è poi così male.
Voto 7.5. Come il riso in bianco dopo una settimana di eccessi, Valerie June ci fa riscoprire la grandezza della semplicità.