Peppe Trotta per TRISTE©
Hanno chiuso la libreria più vicina a casa mia e adesso mi tocca fare un po’ di strada per giungere in un posto dove trovare abbondanza di titoli. È condizione fondamentale per me quella della grande possibilità di scelta, in quanto non sempre arrivo munito di lista o intenzioni di acquisto.
Spesso invece entro e semplicemente mi perdo tra gli scaffali alla ricerca di qualcosa che possa attrarmi. Capita a volte di rimanere confuso e non sapere che cosa fare e ogni qual volta succede finisco per tornare su qualche autore che conosco bene e che per me in qualche modo rappresenta una certezza. Perdo il gusto della scoperta ma difficilmente resto deluso.
Così come non mi ha deluso Brace The Wave.
Lou Barlow torna nella sua veste di cantautore solitario e pubblica un disco che ancora una volta ne dimostra la grande capacità di scrivere canzoni che compongono una sorta di diario delle sue sensazioni.
Il suono è piuttosto scarno, un folk minimale incentrato su chitarra e voce in cui gli altri strumenti rivestono un ruolo secondario. A sprazzi ritornano alcuni degli elementi che hanno caratterizzato la sua lunga carriera, dall’abrasivo e secco incedere di Nurse all’andamento sghembo e stralunato di Moving, senza però l’esasperante energia del passato.
L’attitudine è sempre lo-fi e il tocco di Barlow rimane decisamente riconoscibile anche quando vira sull’immediatezza di un suono più accattivante (Wave, Boundaries). I momenti migliori del disco sono le delicate ballate (Pulse, C & E e la conclusiva Repeat) che ne rivelano pienamente il tratto intimistico facendone emergere il tono di auto riflessione sul proprio presente.
Brace The Wave è senz’altro distante dai fasti pirotecnici di quelle creature musicali che hanno segnato gli anni 90 (Sebadoh e Folk Implosion su tutte), e forse anche dalla profonda ispirazione che aveva mosso Emoh, ma conferma ancora una volta che Lou Barlow ha ancora tanta musica da offrire.