Entrare negli “anta” comporta una serie di conseguenze, di cambiamenti che chi è lontano dal traguardo non può conoscere e capire.
Si comincia a sentire un definitivo distacco da una fase e soprattutto si comincia a vedere il mondo in modo differente.
Sembra non essere rimasto immune a questo fenomeno Mike Kinsella, ormai alle porte dei quarant’anni.
Kinsella, che insieme al fratello Tim ha segnato la scena di Chicago a partire dalla fine degli anni 80 attraverso varie band, dai Cap’n jazz fino agli American Football, giunge al suo nono disco sotto l’alias Owen che dal 2001 raccoglie la sua produzione da solista.
The King of Whys, vera e propria raccolta di riflessioni e confessioni in bilico tra passato e presente, è un album che pur ponendosi in continuità con i lavori precedenti riesce ad amplificare la cifra stilistica del musicista americano attraverso l’attento lavoro di produzione affidato a da S. Carey e la scelta di allontanarsi dalla sua città.
Rimane intatto il portato emotivo delle canzoni di Kinsella, che qui trovano nuova veste attraverso arrangiamenti ariosi ed eleganti capaci sia di esaltare le atmosfere che maggiormente guardano al suo passato artistico (Empty Bottle, Settled Down), ma anche di dare misurata rifinitura ai momenti più intimi (The Desperate, Saltwater, An Island).
Domina lungo il fluire dell’album un senso di coralità che a tratti traspare in modo vivido e trascinante (Lovers Come and Go, A Burning Soul) e che trova una perfetta sintesi tra le varie istanze presenti in “Lost”, meravigliosa conclusione di un viaggio nell’animo di un artista giunto alla sua maturità.
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