I giorni trascorrono sempre più rapidi e accumulandosi diventano settimane, mesi, anni.
Attorno a me vedo le cose cambiare, trasformarsi man mano. Alcune semplicemente si sviluppano, altre acquistano una patina che le segna. Eppure ci sono cose che sembrano sfuggire a tale processo, dettagli che sembrano galleggiare all’interno di una bolla temporale dove niente e nessuno può scalfirle, piccoli punti fermi che ritrovo sempre intatti.
Sul margine di un simile territorio sospeso sembrano muoversi gli American Football, emblematici alfieri di un suono che ha segnato la fine degli anni novanta e a cui hanno legato il loro nome attraverso un unico lavoro pubblicato vent’anni fa e divenuto lentamente imprescindibile.
Riemersi inaspettatamente nel 2016 con un disco che sanciva la ripresa ed un parziale sviluppo delle tematiche degli esordi, i quattro (non più) ragazzi del Midwest arrivano adesso alla realizzazione del loro terzo capitolo, rigorosamente omonimo, dando continuità ad un ritorno che poteva rivelarsi fugace ed inconsistente.
Ciò che emerge prepotente da questa nuova tappa è che gli American Football sono cresciuti e diventati adulti senza perdere di vista le loro radici. Le trame melodiche delle otto tracce continuano a svilupparsi incentrate sul suono squillante delle chitarre e scandite dall’incedere sincopato delle linee ritmiche, ma tutto è adesso più arioso e curato.
Quel che si profila fin dalla convincente apertura di Silhouettes è un percorso dal tracciato noto osservato da un punto di vista nuovo, un flusso che somma alle strutture math e alle atmosfere emo una componente cantautorale, che rimanda al lavoro solista di Mike Kinsella come Owen rendendo emozionante il tono confidenziale di Doom in Full Bloom, e una generale tendenza ad una maggiore immediatezza pop.
Si imprimono istantaneamente canzoni quali Heir Apparent o Uncomfortably Numb, quest’ultima impreziosita dal contributo vocale di Hayley Williams che insieme a quelli di Elizabeth Powell nell’elegante Every Wave to Ever Rise e di Rachel Goswell nella travolgente I Can’t Feel You danno un ulteriore tocco in più capace di espandere ulteriormente l’universo sonoro della band.
Una maturità pienamente raggiunta che continua a nutrirsi di una linfa vitale che arriva da un passato cronologicamente sempre più distante ma ancora intensamente vivido, come se il tempo per Kinsella e soci si fosse cristallizzato.
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