Gareth Dickson – Orwell Court

garethdickson_orwellcourtPeppe Trotta per TRISTE©

La neve è stata una costante dei miei inverni da bambino. Dove vivevo non mancava mai e scandiva il trascorrere della mia prima infanzia. Da quando vivo al sud, tanto tempo ormai, il sole e l’afa dell’estate hanno gradualmente preso il posto della lieve danza di fiocchi bianchi.

All’inizio era straniante non ritrovarsi immerso nel paesaggio ovattato, poi lentamente un’abitudine ha sostituito l’altra. A volte però mi ritrovo ancora a sentire questa strana mancanza senza volerla minimamente cancellare perché alcune assenze sono speciali, altre invece per fortuna vengono colmate.

A quattro anni dallo splendido Quite A Way Away finalmente riecco Gareth Dickson. Il musicista scozzese torna con un nuovo disco che ancora una volta rivela il suo magico universo fatto di tessiture sognanti costruite attraverso il suo virtuoso picking denso di vaporosi riverberi.

La chitarra e la sua flebile e intimista voce continuano a rimanere protagonisti assoluti delle canzoni di Orwell Court, anche se in questo suo nuovo lavoro si aggiungono eteree e misurate partiture di tastiere e in alcuni frangenti inaspettate pulsazioni ritmiche (Snag With The Language).

Le canzoni sono sempre in bilico tra un songwriting di esplicita ispirazione drakeiana ed evanescenti trame ambientali, costantemente impreziosite da improvvise progressioni dinamiche (The Big Lie), variazioni melodiche oblique (The Hinge Of The Year) o contributi vocali tra cui spicca un piccolo cameo di Vashti Bunian (Two Halfs).

La componente atmosferica diventa assoluta in The Solid World, unico brano strumentale del disco, e funziona da perfetta introduzione alla raffinata rivisitazione di Atmosphere dei Joy Division, che brilla in chiusura come un affascinante sole nero.

Nel ritorno di alcune certezze c’è un conforto assoluto a cui è impossibile rimanere indifferenti. Chissà che tra qualche giorno non riesca a svegliarmi immerso in una città innevata.

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